Crisi greca, Patuelli (Abi): «Banche chiuse, libertà a rischio»

Crisi greca, Patuelli (Abi): «Banche chiuse, libertà a rischio»
di Nando Santonastaso
Martedì 30 Giugno 2015, 08:41
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«Facciamo attenzione a come sarà formulato il quesito referendario per i greci: loro i referendum li hanno inventati» avverte Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, l’Associazione delle banche italiane. Non è una riflessione secondaria, tutt’altro: «Non credo che si chiederà loro di rimanere nell’euro o meno, penso che l’interrogativo sarà radicalmente diverso» aggiunge Patuelli che guarda con giustificata attenzione all’unica scadenza certa della crisi ellenica, il test di domenica prossima.



Vuol dire che il referendum non metterà in discussione l’appartenenza della Grecia all’Unione europea e dunque alla moneta unica?



«È comprensibile che in queste ore si dia un grande risalto al significato politico del voto popolare greco. Ma alla fine sarà l’atto giuridico, la risposta cioè al quesito referendario per capirci, ciò che conterà veramente. Che l’euro sia senza alternative lo dice la Bce, lo dice l’Unione europea, lo dice il governo italiano: ma, ci hanno fatto caso in pochi, anche il governo di Atene non ha mai detto il contrario...».



Ma lei, da presidente dell’Abi, è convinto che il futuro sia ancora nel segno dell’euro?

«Dal 2011 al 2015 l'euro, per merito della Bce e di Mario Draghi, si è ulteriormente rafforzato sui mercati internazionali. Pur avendo solo 15 anni di vita, ha assunto una forte autorevolezza al punto che viene difeso apertamente anche da quelli che non l’hanno adottata: le parole pronunciate da Obama e da Cameron lo dimostrano in maniera esemplare. L'euro ha fatto risparmiare tantissimi soldi ai cittadini italiani che quando devono pagare i mutui sono sorpresi da tassi così convenienti: niente di paragonabile al costo del denaro di quando c’era la lira. Se si tornasse indietro, con una crisi economica ancora robusta, gli aggravi sulle tasse sarebbero stati drammatici».



Torniamo alla Grecia: che effetto le fa, da presidente delle banche, pensare che in un Paese europeo per una settimana tutti gli sportelli del credito restano chiusi?

«Le libertà sono una catena, dal punto di vista religioso, civile ed economico.
In Grecia dall’immediato secondo dopoguerra non si può dire che ci sia stato un continuum di democrazia. Basti ricordare che 40 anni fa le istituzioni democratiche erano chiuse e c’era la dittatura militare. Quando, e vengo alla domanda, le banche vengono chiuse, su ordine governativo, fino al giorno dopo un referendum convocato in maniera un po’ straordinaria, vuol dire che in quel Paese è in atto una tensione molto forte. Visto che la deliberazione non è della Banca centrale greca né delle imprese bancarie elleniche, è chiaro che siamo di fronte a un elemento di problematicità forte di questa crisi, nata come crisi economica in Grecia ma poi diventata politico-istituzionale su scala europea».




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