Teatro San Carlo: «Carmen», magia che seduce

Teatro San Carlo: «Carmen», magia che seduce
di Donatella Longobardi
Lunedì 14 Dicembre 2015, 08:50 - Ultimo agg. 09:02
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Con la sua storia di amore e morte, con la sua musica travolgente, «Carmen» seduce il San Carlo. Ed è un successo la «prima» dell’opera di Bizet. Un successo firmato soprattutto da Zubin Mehta, vero artefice di uno spettacolo che il regista Daniele Finzi Pasca ha fatto oscillare sulle corde della poesia senza cadere nello stereotipo.

Applausi calorosi e affettuosi per il celebre direttore indiano, invitato a restare a Napoli più stabilmente. Fischi e dissensi isolati invece per la regia. Applausi dal palco reale con il Presidente Mattarella, il sindaco de Magistris, il governatore De Luca, applausi dalla platea e dal loggione, applausi dall’orchestra in buca, dal coro schierato sul palcoscenico per i ringraziamenti, da tutto il cast.

Una serata da ricordare per il Lirico napoletano gremito in ogni ordine di posti che ha salutato l’ingresso del Capo dello Stato con l’Inno di Mameli. Qualcuno accenna anche a cantare qualche strofa, tutti sono in piedi, le luci accese. Poi via alla musica, al dramma della bella gitana che seduce Don Josè, lo costringe a disertare e ad unirsi a un gruppo di contrabbandieri prima di abbandonarlo in nome di un nuovo amore, quello per il torero Escamillo.

Un classico triangolo di passioni che si chiuderà in un lago di sangue, quello della donna, una delle tante vittime della violenza maschile. Sarà per questo che «Carmen» è diventata un classico anche dei nostri giorni, sarà per questo che lo spettacolo sancarliano ideato dal regista svizzero cerca di evitare banali sovrapposizioni per affondare nel cuore della vicenda.

Non c’è sangue, in scena, ma petali di fiori, non c’è violenza, se non quella che impone il copione al militare degradato che con l’amore vede fallire ogni speranza. Anche quella della dolce Michaela, una Eleonora Buratto in stato di grazia che ha strappato applausi e grida di «brava» a scena aperta dopo l’aria del terzo atto.

Il mezzosoprano Marìa José Montiel ha festeggiato a Napoli le cento volte nel ruolo di Carmen e impresso al personaggio tutta la sua «spagnolitudine»; Kostas Smoriginas, il baritono lituano è interprete di un Escamillo giovane e prestante; il tenore americano Brian Jagde, un Don José misurato che da un atto all’altro si trasforma da amante affettuoso a «killer» spietato.

Un personaggio che cambia come i colori degli abiti di Giovanna Buzzi. Gialli nel primo atto, bianchi nel secondo, neri nel terzo, rossi nel finale. Ben 480 i costumi realizzati nella sartoria del teatro diretta da Giusi Giustino. Per il coro, per i ragazzini delle voci bianche, per i solisti.

Dietro le quinte gran lavoro per il direttore di palcoscenico Salvatore Giannini e per il direttore di scena Barbara Patruno, che hanno dovuto coordinare i serrati cambi di scena e di costume per centinaia di persone contemporaneamente. Passaggi che in sala neppure si avvertono, il pubblico applaude dopo le arie più celebri, a cominciare dalla «Habanera».

«Il San Carlo non poteva cominciare meglio», dice de Magistris ricordando l’invito a Mehta a diventare direttore stabile a Napoli. «La presenza del maestro e del Presidente Mattarella fanno di questa serata un must per la città e per il San Carlo». E Mehta? «Speriamo che accetti, il maestro è un bene comune, lo aspettiamo ogni volta che vuole», dice il sindaco e incrocia le dita in un botta e risposta dietro le quinte con il sindaco di Firenze, Nardella: «Mehta ha casa a Firenze, ma può andare dove vuole e tornare quando vuole, siamo lieti di ospitarlo è un cittadino del mondo», dice ricordando che il musicista è direttore al Maggio da 35 anni, ed è il simbolo del teatro fiorentino nel mondo.

«Ma non è detto che anche noi non riusciamo a trovargli spazio», insiste il direttore artistico sancarliano Paolo Pinamonti, che con la sovrintendente Rosanna Purchia sta seguendo da vicino il delicato approccio al musicista indiano. Certamente la prossima inaugurazione di stagione sarà diretta da Gabriele Ferro, considerato rossiniano doc, visto che il titolo scelto è l’«Otello» di Rossini di cui Napoli celebra i duecento anni dalla prima esecuzione.

Un’opera ideata e nata per il San Carlo che fece subito il giro del mondo prima che arrivasse quello di Verdi a offuscarne la fama. Un’opera che testimonia la storia e le tradizioni del Lirico napoletano messe in evidenza dal ministro Franceschini, portato in giro in tutte le sale dall’ex commissario Nastasi, oggi commissario per Bagnoli.

«Nella ristrutturazione è stato fatto un lavoro straordinario, il San Carlo non solo è il teatro più antico d’Europa ma vanta tecnologie moderne: ho detto da tempo che nessuna regione d’Italia come la Campania e nessuna città come Napoli hanno potenzialità di crescita. Servono solo scelte intelligenti e mirate». E il San Carlo? «Cominciare con Mehta è già un bell’inizio».