A 17 anni travolse e uccise un bambino, la condanna: un tema

di Titti Marrone
Martedì 16 Dicembre 2014, 22:23 - Ultimo agg. 17 Dicembre, 01:00
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Forse il gip estensore del provvedimento contro il minorenne che il 29 novembre scorso ha investito con lo scooter una madre e il suo piccolo di 4 anni, uccidendo il bimbo e ferendo malamente la donna, aveva visto «L'amore buio» di Antonio Capuano e avrà pensato d'ispirarsi a quello. Le decisioni riguardanti il ragazzo di 17 anni fanno pensare infatti a quel film, ambientato in parte al carcere minorile di Nisida, e sono a dir poco insolite: prevedono che il ragazzo, quella sera sconsideratamente in sella a una Honda Sh lanciata a forte velocità, s'impegni nella scrittura di «un elaborato contenente riflessioni su quanto è accaduto».



E dovrà, il ragazzino presentare «scuse formali alle persone offese dal reato». Mettiamo momentaneamente da parte il vero fulcro, nonché punto doloroso, dell'intera storia, cioè la cancellazione dalla faccia della terra di una vita appena cominciata e il grumo di dolore senza rimedio insediato per sempre al centro della vita dei genitori del piccolo. Il punto più singolare del provvedimento, quello che fa pensare al film, tra i più belli del regista napoletano, riguarda l'obbligo di scrittura per il ragazzo colpevole. Ne «L'amore buio» un minorenne finito a Nisida per aver violentato una ragazza con altri coetanei prende autonomamente a scriverle delle lettere, in una sorta di atto di coraggio che diventa esplorazione di sé, dei moventi di un atto imperdonabile e insieme sortisce l'effetto di una terapia per curarsi dall'infezione di una violenza praticata con il branco.



Quel film aveva anche il pregio di introdurre il tema del recupero di un minore, di pratiche carcerarie non unicamente repressive ma capaci di sollecitare la consapevolezza della colpa come processo di crescita. Ma non essendo la vita un film, e neanche un tema in bella copia, viene da chiedersi quanto catartica possa risultare, nella realtà, la scrittura come atto imposto: poiché non risulta che il minorenne del caso in questione, seppure incensurato, sia detentore di un talento espressivo spontaneo in grado di produrre in automatico un effetto salvifico. Ma d'altra parte quella pratica potrebbe essere efficace se, opportunamente guidata, potesse indurre a meditare il minorenne sulla gravità di una propria condotta irresponsabile e purtroppo senza rimedio, aprendo varchi significativi di cognizione di sé e della tragedia procurata agli altri.



Del resto, nel provvedimento del gip, l'istanza di orientare la vita del minorenne verso gli altri appare ben sottolineata nella parte che lo obbliga a dedicarsi ad attività formative e di lavoro e impegnarsi nel volontariato, occupandosi di persone a vario titolo bisognose di assistenza.
Ma i veri, importantissimi «altri» sono e saranno sempre, nella vita del ragazzo in questione, i genitori di quel bambino. Quelli a cui l'idea della pena massima prevista per il reato compiuto da un minore incensurato - «tre anni con sospensione condizionale» - può risultare un'atroce beffa, a fronte della vita tagliata via del piccolo. Così, nel cercare le parole per articolare la propria richiesta di scuse, il minorenne dovrà imparare a guardare in faccia la disperazione di quei due genitori senza illudersi che basti una richiesta di perdono formale, che include la possibilità di un categorico rifiuto. Dopo potrebbe venire, per lui, la scoperta della responsabilità dei propri atti nei confronti degli altri, dimensione rara nei comportamenti di ragazzi troppo spesso educati solo a cercare il proprio divertimento, senza curarsi delle conseguenze di una scorribanda a cuor leggero e violando ogni limite di velocità su una moto troppo grande che può concludere la sua corsa con un impatto di morte.