«I simboli dell’antimafia non sono intoccabili»

di Aldo Balestra
Sabato 4 Luglio 2015, 23:42 - Ultimo agg. 23:45
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«Io non so quale sarà il risultato dell’inchiesta in cui è coinvolto Lorenzo Diana, insieme al quale ho condotto a rischio personale battaglie per la libertà e la legalità, in un territorio difficile come quello casertano dove comandava la camorra. Vederlo ora implicato mi lascia amareggiato, perplesso, incredulo».



Renato Natale parla nel sabato afoso di Casal di Principe, mentre riceve nel suo comune, e l’abbraccia, Raffaele Cantone, presidente nazionale dell’Authority Anticorruzione. È al suo fianco quando l’ex giudice riceve il premio per la legalità dal Comitato «Don Peppe Diana».



Ancora una giornata importante nella Casal di Principe che vuol cambiare, scommettendo appunto su cultura e legalità. Ma parlare dell’inchiesta metanizzazione nell’Agro Aversano, arrivata nei mesi scorsi con tanto di carabinieri e ruspe anche a Casal di Principe, per verifiche sulle modalità dei lavori, è inevitabile. «Finirà che non risponderò più», confida Natale.





Perchè, sindaco Natale?



«Sono come bloccato, fermo, di fronte a quanto sta venendo fuori da due giorni. Guardi, io mi auguro che si appuri l’innocenza di Lorenzo Diana, innanzitutto perchè si tratta di una persona amica, ma anche perchè il mio interesse più forte è che così si sventerebbe il rischio di delegittimazione a prescindere di coloro che sono impegnati nella lotta per la legalità».





Sindaco, l’inchiesta ipotizza per l’ex senatore Diana un coinvolgimento significativo nella vicenda appalti per la metanizzazione. E anche in un’altra inchiesta, con un forte interesse familiare.





«Ho grande fiducia, e grande rispetto, per la magistratura, che è tra le istituzioni più salde in Italia. Se Lorenzo è estraneo, la magistratura lo dimostrerà. Me lo auguro. Ma intanto restano i rischi che fenomeni del genere possono avere all’interno dei movimenti che si muovono contro le mafie».



Lei crede all’innocenza di Diana?





«Io, di Lorenzo Diana, parlo per quello abbiamo vissuto insieme, da soli, qui nell’Agro Aversano, correndo rischi seri per le nostre persone, quando fare questo era difficile assai. E, come ho rispetto del lavoro odierno della magistratura, non dimentico il lavoro che altri giudici compivano in quegli anni di impegno, quando appurarono che la vita di Lorenzo Diana era a rischio perchè la sua azione dava fastidio alla camorra. Ecco perchè sono perplesso».



Ha sentito Diana, in queste ore?



«No, non l’ho sentito. Credo non sia il caso, sarebbe un’invadenza eccessiva in un momento in cui una persona sta vivendo un momento psicologico delicato, con la sua famiglia. Però le dico anche che se lo facessi non lo andrei certo a sbandierare».





Lei ha detto di essere preoccupato delle possibili strumentalizzazioni dell’inchiesta nei confronti del movimento dell’antimafia. Perchè?





«Sì, e glielo ribadisco. Le eventuali responsabilità di ciascuno vanno accertate. Ma intanto il rischio è che passi il pensiero nell’opinione pubblica che la sottoposizione ad un’indagine rende tutti uguali, il camorrista e chi li combatte. Diventano allora tutti uguali, da Don Luigi Ciotti all’ultimo volontario, passa la semplificazione «voi fate e dite, ma alla fine siete uguali a loro, ai camorristi». Ecco, se passa quest’idea, è il più grande regalo che possiamo fare alla criminalità organizzata».



Il rischio, però, è che l’antimafia si rifletta nella sua immagine, a prescindere da tutto e tutti.



«Io non ho mai creduto nell’etichetta, non ho creduto ai professionisti dell’antimafia neanche quando se ne occupava Sciascia, figuriamoci ora. Io so che sono i comportamenti concreti della vita quotidiana che ti «fanno» antimafia o meno. Tornando a Diana, i comportamenti e le azioni in questa direzione io li risconosco almeno per tutto il tempo che abbiamo lavorato insieme. Poi le strade si sono diversificate, lui è diventato parlamentare, io ho continuato a fare il volontario, il medico, il cittadino. Qualsiasi sia, allora, il risultato dell’inchiesta, un pezzo di storia non può essere svilito solo perchè oggi ci sono inchieste su di lui. Voglio sperare, è ovvio, che dimostri l’innocenza».



Sindaco Natale, converrà che al di là delle storie di ciascuno, magari come dice lei anche limitate nel tempo, i simboli dell’antimafia non possono essere intoccabili.



«E chi lo pensa? Intanto io non reputo il simbolo, di per sè, qualcosa che deve per forza esistere e che, per ciò solo, «legittimi». Mi definiscono un simbolo anticamorra, ma io rifiuto quest’etichetta. Per me fare il sindaco di Casal di Principe è innanzitutto essere un buon cittadino di Casale, da volontario, da medico, da consigliere dell’opposizione, ed ora come primo cittadino, per dare il mio contributo alla costruzione di una città di cui la gente possa sentirsi orgogliosamente abitante, titolare di diritti e doveri. Non nego che ci possa essere qualcuno che, all’interno del movimento dell’antimafia, vesta i panni di paladino perchè è più conveniente politicamente, vantaggioso a livello personale ed economico. Ma, appunto, si vestono i panni. In quel caso la parola antimafia è solo una parola, però, senza sostanza».





Ma i simboli dell’Antimafia aggregano, danno l’impronta, si «sta dalla parte giusta», sempre e comunque. Il recente ritorno di Saviano a Casal di Principe alla mostra degli Uffizi è stato un evento nell’evento.





«Simboli e valori simbolici possono essere utili, ma è il contesto che li legittima, da soli - altrimenti - i simboli possono diventare persino una «pazziella». Quando Saviano è stato a Casale, qualche giorno fa, gli ho restituito la prima edizione del libro «Gomorra». «Tieni - gli ho detto - l’ultimo capitolo di questo libro è stato scritto. Dobbiamo scrivere ora un’altra storia». Un gesto simbolico che ha il senso della riconciliazione con un territorio che gli era stato ostile ma che ha senso solo se, ad accogliere Saviano, come è stato, ci sono giovani e gente dalla faccia pulita, che vogliono contare, cambiare le sorti di un paese. E questo territorio, e lo ha dimostrato ieri, è grata anche a magistrati come Cantone, e ricordo i giudici Magi, Cafiero de Raho, che si sono battuti per liberarlo. Ecco, celebrare loro non significa mitizzare etichette o simboli. Ma riconoscere la loro azione sul territorio».





Ritorniamo a Diana. Lei proprio a Casale visse con lui una giornata difficile, insieme a Bassolino.





«Erano gli anni dell’impegno politico comune, Diana era segretario del partito, primi anni ’90, credo nel ’92, una festa della Liberazione.
Bassolino aveva rivolto forti attacchi allo strapotere della camorra nei nostri territori, noi lo invitammo alla sezione del Pds, a certi personaggi questo parve una provocazione. Vennero alla riunione, parlarono in toni minacciosi, fuori c’era gente in auto e moto che ronzavano pericolosamente, come accadeva in quegli anni. Avvisammo i carabinieri di quanto accadeva, di quel clima pesante».