Bradley Cooper: «La guerra di Eastwood è come un western»

di Francesca Scorcucchi
Domenica 21 Dicembre 2014, 23:40 - Ultimo agg. 23:43
4 Minuti di Lettura
Il successo con una commedia sfrontata come «Una notte da leoni», una prima candidatura all’Oscar con «Il lato positivo» e una seconda, lo scorso anno, con «American Hustler». Ora per Bradley Cooper arriva la definitiva consacrazione con l’ultimo film di Clint Eastwood, «American Sniper», che vede l’attore nel ruolo del protagonista, il cecchino del titolo.



«American Sniper», in uscita a Natale in edizione limitata negli Stati Uniti e in Italia il primo gennaio, racconta la storia vera di Chris Kyle, inviato quattro volte in Iraq con una missione: uccidere. Texano con la passione delle armi da fuoco, Kyle imparò a sparare a otto anni e fu uno dei migliori tiratori scelti dell’esercito americano. Gli iracheni lo chiamavano «il diavolo». Prima di venire ucciso in un poligono di tiro lo scorso anno, l’ex navy Seal ha raccontato la sua storia nel best seller «American Sniper», che Cooper (anche produttore) e Clint Eastwood hanno voluto adattare al grande schermo. Nella pellicola Sienna Miller interpreta il ruolo della moglie Taya. Il film racconta infatti, non solo il dramma del soldato in guerra, ma anche il rapporto con la famiglia e i traumi di chi, per lavoro, deve uccidere essere umani: 160 sono le morti ufficialmente confermate, 255 quelle probabili, attribuite alla mira micidiale di Kyle.



«Questa è la storia di un uomo molto carismatico. – dice Cooper - un personaggio che secondo me farà sì che il pubblico provi empatia con i soldati al fronte nonostante il difficilissimo compito affidatogli. Non è stato sempre così, vediamo spesso i soldati negli aeroporti con le loro divise mimetiche: non sappiano cosa hanno visto in guerra o a cosa andranno incontro in futuro. Spero che questo film aiuti a guardarli con uno sguardo più empatico».



Non deve essere facile recitare in un ruolo così impegnativo ed essere anche il produttore del film.



«Vero, ma sono stati due abiti che ho indossato in momenti diversi. Prima e dopo le riprese mi sono occupato della produzione, durante le riprese ero così concentrato ad essere Chris che non ho pensato ad altro. Poi il soldato Chris finite le riprese, e non subito ma dopo qualche tempo, mi ha abbandonato. È stato un momento triste, ma il passaggio mi ha aiutato nella transizione al ruolo di produttore».



In molti hanno notato varie analogie fra «American Sniper» e il western di Clint Eastwood «Gli spietati».



«È vero, ci sono molte analogie. La costruzione del film è quella di un western. C’è un cecchino e c’è, dall’altra parte, il nemico e alla fine c’è un confronto come nella migliore tradizione del genere e credo che questo modo di raccontare la storia, molto "alla Eastwood", renda davvero le cose più interessanti per il pubblico. Insomma, non è il solito film di guerra».



C’è poi una frase che ricorre in questo film e ne «Gli spietati», una frase molto significativa.



«Si riferisce a quando dico a mio figlio: "È una cosa infernale fermare un cuore che batte"? Sì, è così. E ne "Gli spietati" il personaggio interpretato da Clint dice: "È una cosa infernale uccidere un uomo, portagli via tutto quello che ha avuto e tutto quello che avrà". È un pensiero che ricorre nella testa e nei film di Eastwood, è una frase molto vera».



Il film racconta anche il difficile rapporto con la famiglia.



«Quello che fai al fronte è talmente traumatizzante che non riesci a staccare la spina, la maggior parte dei soldati torna a casa con la sindrome da stress post traumatico, nelle famiglie dei soldati al fronte c’è una percentuale di divorzi che si aggira sul 95%. Kyle e sua moglie ce la fanno, riescono a superare la crisi, ma non capita spesso fra i veterani».



Come si è preparato per interpretare un Navy Seal?



Ho imparato molto sulle armi, sul’Mk 11, il 338 Lapua e il 300 Win. Mag. Mi sono esercitato per saperli maneggiare con destrezza. Quando giri un film con Clint Eastwood non hai molto tempo per prepararti, non ci sono prove, non c’è da parlare, lui sa quello che vuole e si procede spediti».



Ci racconta del rapporto con Eastwood?



«Meraviglioso, siamo diventati amici. Quando finivamo di girare si restava a chiacchierare, si andava a cena insieme. Come produttore ho avuto modo di interagire molto con lui e lavorare con Eastwood è piacevole».



Soprattutto all’estero la guerra in Iraq è stata percepita spesso come un’azione di forza degli Stati Uniti. Pensa che dare un volto ai soldati in guerra cambierà tale sensazione?



«Non concepisco il film come un mezzo per educare le persone sulla guerra in Iraq. A pensarci bene non lo vedo come un film sulla guerra in Iraq. Racconta l’orrore della guerra, questo sì. È un film su un uomo e su quello che ha passato al fronte. Il dilemma e la tragedia che stanno dietro a ogni guerra».