Cantone: anche le Regioni vanno sciolte per mafia

di Federico Monga <
Sabato 9 Maggio 2015, 23:04 - Ultimo agg. 23:21
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L’antefatto: giovedì scorso in un’intervista al sito Huffington Post, lo scrittore Roberto Saviano aveva accusato l’ex magistrato antimafia e ora presidente dell’autorità Anticorruzione di tacere sullo spinoso argomento dei candidati, i cosiddetti impresentabili, nelle liste delle prossime elezioni regionali in Campania.



In particolare, l’autore di Gomorra ha giudicato il silenzio di Cantone «ancor più grave, vista la sua vicinanza con i vertici del Partito Democratico, prima con Enrico Letta e con Matteo Renzi poi». Addirittura qualcuno ha sostenuto che questa disputa abbia messo fine a un’amicizia di lunga data.



Nei giorni successivi, l’ex pm che ha combattuto con le sue inchieste il clan dei Casalesi ha preferito non replicare. Con il Mattino affronta il nodo della composizione delle liste facendo due premesse. Primo: «I rapporti di amicizia attengono alla mia sfera personale e il mio sentimento di affetto nei confronti Saviano resta immutato e non può farlo cambiare qualche considerazione critica e personale che, non lo nascondo, mi è potuta solo dispiacere».



Secondo: «Per quanto riguarda l’allarme sul rischio di infiltrazioni nelle liste elettorali di personaggi contigui alle associazioni mafiose o in generale di candidati ribattezzati impresentabili, credo che un intellettuale come Roberto faccia bene ad intervenire e a porre la questione al centro del dibattito.



Le denunce non devono, mi pare ovvio, apparire generiche. Se no si finisce per sparare nel mucchio. Non mi sento però di affrontare i casi particolari, in quanto non ho approfondito i nomi inseriti nelle liste campane e soprattutto perché io svolgo un ruolo che non contempla giudizi politici tanto meno con la campagna elettorale in corso».



Al prossimo consiglio regionale concorreranno condannati, indagati e trasformisti



«Il tema c’è tutto. E ha anche un’incidenza molto rilevante nell’ambito delle mie strette competenze: ovvero la prevenzione dalla corruzione. La scelta di una classe dirigente non specchiata è spesso un incentivo alla corruzione».



Cosa deve fare la politica per arrivare ad avere le liste pulite?



«In primo luogo serve un intervento normativo. O meglio una correzione dell’attuale che, in alcuni casi, è già molto severo, a volte anche con esagerazioni, rispetto al panorama internazionale. Ma in altri casi è assolutamente deficitario».





Partiamo dalle norme attuali.



«Chi è stato condannato in via definitiva, chi è sottoposto a misure di prevenzione, chi è stato causa di scioglimenti di enti locali non può candidarsi».



Non basta?



«Con evidenza no. L’impianto va rafforzato. Nella scorsa tornata elettorale un condannato per concorso esterno (Roberto Conte, ndr) fu schierato e poi eletto con tanti voti in una lista di supporto al candidato governatore che poi è risultato il vincitore (Stefano Caldoro, ndr)».



Come crede si debba intervenire?



«Non sarebbe scandaloso che in riferimento a reati molto gravi come il concorso esterno in associazione mafiosa, l’estorsione, la corruzione e la concussione, avere il coraggio di impedire la candidabilità anche a chi non ha ricevuto condanne definitive».



Come si ripete in questi casi, però, fino al terzo grado c’è la presunzione di innocenza?



«Giusto e sacrosanto in astratto ma qui si tratta di tutelare funzioni di rilievo costituzionali primarie».



La legge non può regolare tutto.



«E qui passiamo al ruolo dei partiti e ai loro codici etici che fino ad oggi hanno avuto l’effetto della carta straccia. Sono apparsi più come affermazioni di principio o optional. I codici etici devono essere vincolanti, non solo per il partito che lo ha adottato e scritto, ma anche per le liste civiche. Altrimenti sono troppo facili da aggirare. Negli ultimi periodi è capitato che proprio attraverso le liste civiche si siano scavalcati i codici etici e che in quelle formazioni politiche create ad hoc si siano candidati alcuni impresentabili in supporto alle liste dei maggiori partiti».



Questo passo in avanti comporterebbe una riforma dei partiti.



«Che è indispensabile. I codici etici, che non dimentichiamo sono adottati con grande autonomia dal partito, devono valere come se fossero vere e proprie norme statutarie, come per qualsiasi società privata. In questo modo potrebbero essere resi davvero cogenti».



In questo caso potrebbero esser fatti valere anche di fronte davanti all’autorità giudiziaria. Non si rischia di accrescere ancora di più l’influenza del potere giudiziario sull’attività politica ed amministrativa?



«Indubbiamente ci sono situazioni che sfuggono a norme penali o ai codici etici. È opportuno allora che la politica si assuma le proprie responsabilità. Penso al caso dei ”parenti di”. Io non voglio il trionfo della categoria del sospetto. Né voglio l’introduzione di commissari che dicano chi può e chi non può candidarsi. Se un politico non ha precedenti, chi lo schiera deve assumersi la piena responsabilità».



Insisto. Il vero giudizio spetta però alla politica che poi è la rappresentazione, o almeno dovrebbe esserlo, della società civile.



«E qui veniamo ad un altro punto centrale. Quando ci furono le ultime elezioni a Napoli, proprio sul Mattino, segnalai di fare attenzione perché nelle liste erano stati inseriti molti condannati. Una volta ultimate le elezioni, quasi tutti vennero eletti e anche con ottime perfomance. In Italia, e in particolare nel Mezzogiorno, c'è uno scarso senso civico che finisce per rendere inutile ogni norma e che può essere superata solo alzando al massimo l'asticella della responsabilità politica. Questo dato mi mette in crisi come cittadino, perché c'è una parte dell'opinione pubblica che non si interroga sulla trasparenza. Dove c'è una cattiva politica non sempre c'è una coscienza politica all'altezza da parte dei cittadini. Il tema del malaffare, gira e rigira, è culturale. Un problema educativo. Vedo che ancora oggi troppi elettori si aspettano dal voto cose diverse. E in questo senso il condannato si dimostra terribilmente affidabile».



I sistemi elettorali possono aiutare?



«I sistemi elettorali non sono neutri, soprattutto se si vuole cambiare la classe dirigente. Il voto per le Regioni e i Comuni favorisce le ammucchiate e quindi il malaffare. Per vincere si è disposti a mettere insieme qualsiasi armata brancaleone. In Inghilterra, come abbiamo appena visto, nessuno si scandalizza se va al governo chi ha preso il 37% dei voti senza fare alleanze strane e, in molti casi, pericolose».





Si corre dunque il rischio che molti dei candidati chiacchierati o impresentabili vengano eletti nel prossimo consiglio regionale?



«Non si può escluderlo affatto. Vorrei allora fare un’altra proposta forte: anche le Regioni, come i Comuni, devono poter essere sciolte per infiltrazioni mafiose. Le Regioni sono gli ultimi centri di spesa importanti rimasti. Penso al tesoro dei fondi europei e alla sanità. Le mafie vanno o cercano di andare dove ci sono i soldi».



Secondo lei, se ci fosse stata questa possibilità, alcune Regioni sarebbero già state sciolte?



«Credo di sì. Le associazioni mafiose sono dentro mani e piedi soprattutto nella sanità».





Altra questione al centro del dibattito è il trasformismo. Candidati che, come se nulla fosse, passano e vengono accolti, a volte anche cercati, da una parte all’altra.



«Cambiare idea in democrazia è fisiologico. Altrimenti si voterebbe una volta sola. Soprattutto al Sud, però, la trasformazione delle idee è diventata trasformismo. Politici e amministratori cambiano schieramento e si portando dietro le loro truppe cammellate. Cambiare idea o schieramento, per un politico, vorrebbe dire fare autocritica: ho sbagliato e cambio. Ma questo atteggiamento non avviene mai. È successo che un amministratore comunale campano ha cambiato 5 volte schieramento e ha sempre preso lo stesso numero di voti. È un ulteriore segnale del cinismo dell’elettore che non si affida alla proposta politica ma all’intermediario della proposta. Il meccanismo è inquinante. Il passaggio non avviene per questioni politiche ma per interessi economici e imprenditoriali».



Certo non si può impedire per legge di cambiare casacca.



«Infatti, anche in questo caso, i codici etici interni ai partiti dovrebbero arginare questo fenomeno che è tutto italiano, prevedendo che chi cambia schieramento non possa assumere cariche di governo per un certo periodo con un’altra casacca».



Un’altra critica fatta da Saviano è che per questo governo non sono una priorità la lotta alla mafia e alla corruzione.



«Non voglio farmi tirare dentro la disputa politica. Detto che si può fare sempre di più, segnalo però che questo parlamento ha votato leggi importanti: voto di scambio politico-mafioso, legge sulla corruzione, ha introdotto l'autoriciclaggio. Ma il vero punto al Sud non è questo».



E qual è?



«Il Sud ha bisogno di una nuova, affidabile e autorevole classe dirigente. Questa sarebbe la vera svolta per tutto il Paese. Questo è un tema che deve essere centrale senza divisioni politiche. In questo modo chi viene escluso da una parte per motivi deontologici non può essere subito accolto da quelli che una volta erano i suoi avversari».



I partiti non controllano più le periferie?



«È l’effetto della crisi dei partiti tradizionali.
Basti pensare che il Pd si è lasciato sfuggire di mano Roma. Figuriamoci cosa sta succedendo in territori molto meno mediatici e lontano dai riflettori».