Conte e la Juve, c’eravamo tanto amati

di Maurizio de Giovanni
Lunedì 30 Marzo 2015, 23:44
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Lo strano destino di Antonio Conte, che dovrebbe sorridere dall’alto dell’apice di una gloriosissima carriera. Strano il destino di chi dovrebbe essere felicissimo, essendo approdato legittimamente al punto massimo della parabola di qualunque tecnico di calcio, diventando il selezionatore della Nazionale del proprio Paese dopo aver dimostrato di essere l’allenatore più vincente del calcio che quello stesso Paese esprime. Curioso destino, quello di un professionista che ha avuto i migliori anni della sua vita vestendo i colori (si fa per dire) di una stessa, vincentissima squadra di cui è stato capitano pluriscudettato da atleta e allenatore altrettanto pluriscudettato con fior di record e vittorie memorabili.

Perché ci si aspetterebbe che il rapporto tra un uomo che tanto ha dato a una società e la società stessa sia idilliaco e fortissimo; un legame indissolubile che preveda un posto d’onore nell’ideale hall of fame bianconera, al centro di un circolo che comprende grandissimi campioni e di allenatori con una spiccata attitudine al trionfo. E invece, meno di un anno dopo il distacco peraltro non traumatico e costellato di foto ricordo, sorrisi e strette di mano, tra il cittì leccese e i vertici della società (di gran lunga) più vincente del Paese si avvertono i sintomi di una palpabile, scomodissima tensione, tanto da potersi legittimamente chiedere che accoglienza riserverà il popolo juventino a questo grande ex stasera, all’ingresso in campo per il confronto amichevole con l’Inghilterra. I segnali sono contrastanti: da un lato l’arrivo in albergo è stato salutato da un moderato entusiasmo, con applausi, foto e richieste d’autografi; dall’altro sono stati assegnati in prevendita solo 25mila tagliandi, numero molto basso in rapporto al prestigio della sfida.

Conte, ne siamo certi, tutto si aspettava tranne che di entrare in aperta polemica con la squadra della sua vita. La farsa Marchisio, con un infortunio gravissimo nella prima diagnosi (complimenti all’illuminato staff medico che ha tirato le conclusioni al primo esame) e poi risoltosi in un abbraccio e un bel sospiro di sollievo col radiologo che ha escluso ogni tipo di lesione, e del resto Marchisio si era recato tranquillamente al centro diagnostico col viso sereno e guidando l’auto in prima persona: il destino ci ha scansato lesioni della specie, ma abbiamo ragione di ritenere che normalmente una rottura del crociato non comporti una gran facilità di movimento, e infatti il principino bianconero sarà probabilmente in campo sabato a Empoli con i suoi, senza essersi nemmeno affaticato in azzurro nella scomoda sfida con i bulgari brutti e cattivi. E nonostante ciò sulla testa del povero Conte si sono scatenati i fulmini della polemica nientemeno di John Elkann, l’erede della Famiglia Reale, che non ha risparmiato frasi di fuoco al tecnico, definito il c.t. col maggior numero di infortuni, quello che strizza di più gli innocenti campioncini che prima, da trainer di club, chiedeva di tutelare; naturalmente il bravo Conte qualcosa ha risposto, asserendo di non accettare chi gli metteva il passato contro: davvero il minimo sindacale. Un botta e risposta tanto velenoso e rapido che il buon Marchisio non ha nemmeno fatto in tempo a chiarire di stare benissimo invece, e che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Inutile dire che la situazione ha dato modo al popolo bianconero sul web, al riparo di nickname e avatar che consentono di nascondersi, di vomitare su Conte una valanga di insulti e improperi assolutamente indecorosi e ingiusti.

Sorprende l’attitudine dell’ambiente juventino a dimenticare molto velocemente i successi vissuti insieme e a riporre le vecchie bandiere nei cassonetti, più che nei cassetti. Ricordiamo l’imbarazzo rammaricato e addolorato di Del Piero, accantonato senza la minima considerazione quando ancora poteva validamente fornire un apporto in campo, al quale non fu nemmeno offerto un ruolo dietro una scrivania come la sua signorilità e il prestigio di campione sensibile e intelligente fuori discussione esigevano; adesso Conte, vilipeso e offeso, è diventato addirittura un nemico della Juventus, dopo aver regalato più di un momento di gloria.

Che dire? Dev’essere l’abitudine consolidata a vincere sempre e comunque, chiunque sieda in panchina e chiunque indossi la casacca. Dalle nostre parti, dove la vittoria è merce rarissima, ancora ricordiamo con incondizionato amore chi ci ha regalato un po’ di dedizione: chiedere a mister Bianchi, indimenticabile condottiero dell’ottantasette, o a Bigon padre, alla guida del Napoli del secondo scudetto, ancora applauditi a ogni passaggio per il San Paolo dopo quasi trent’anni. Ma si sa, qui siamo caldi e affettuosi. Magari Conte, che è pur sempre uomo del Sud, ci penserà quando chiuderà la sua esperienza in Nazionale ma avrà ancora voglia d’azzurro.