La fuga di Benitez, l’addio a Pesaola. Ci sono amori che non finiscono mai

di Maurizio de Giovanni
Venerdì 29 Maggio 2015, 23:08 - Ultimo agg. 23:39
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Avete presente quando finisce una storia d’amore? No, non nei film o nei romanzi: nella realtà. Nella realtà, tranne rarissimi casi, la storia non finisce mai contemporaneamente da entrambe le parti.



C’è sempre una delle due che ne vorrebbe ancora, che avrebbe ancora da dire, da spiegare, da baciare, da soffrire. C’è qualcuno che vuole andare via, provare nuove esperienze, sentire di nuovo il brivido dell’innamoramento; e qualcun altro che pensa che nella storia ci sia ancora qualcosa di irrisolto, qualcosa da fare.



Qualche obiettivo da raggiungere. Ieri, quando abbiamo visto De Laurentiis e Benitez salutarsi cordialmente, scambiarsi saluti e auguri come fosse Natale, quando li abbiamo sentiti dribblare le domande dei giornalisti e parlare con un po’ di imbarazzo del domani che non avrebbero vissuto insieme, confessiamo di aver provato un piccolo brivido di disagio. Certo, tutto molto civile e composto.



Sorrisi compassati e corretti, che si confanno forse al freddo clima nordeuropeo o alle pellicole romantiche e politically correct dalle quali è bandito ogni rancore; meglio così, ovviamente. Meglio così che essere testimoni del lancio degli stracci, di precontratti strappati a forza o permanenze controvoglia: se non ti amo più, cosa vorresti che facessi?



Che rimanessi al tuo fianco per forza? E noi tifosi non possiamo nemmeno lamentarci per essere stati lasciati per uno più brutto, più povero e più grasso di noi che, diciamocelo, è sempre uno smacco maggiore: la nostra bella ci ha lasciato per un vero principe di sangue Real, che col suo cavallo blanco è venuto a prendersela, portando in dono Cristiano Ronaldo, Bale e Benzema. Dovremo farcene una ragione. Certo che da questo fidanzamento speravamo di meglio.



Speravamo che il trainer dal respiro internazionale si innamorasse senza se e senza ma di una città adorante, di un popolo che ha cominciato a discuterlo solo alla fine, quando, parliamoci chiaro, era diventato impossibile evitarlo, di un gruppo di calciatori da lui voluti e schierati secondo un verbo e un credo che sembrano avere qualcosa di religioso e di ineludibile. Abbiamo subito con serenità sconfitte piuttosto mortificanti che ad altri allenatori meno sorridenti, colti, raffinati e mediatici avremmo difficilmente perdonato.



Abbiamo assistito a inciampi ripetuti con squadre di rango largamente inferiore. Abbiamo visto mortificare qualche talento al quale siamo molto affezionati, come Hamsik per esempio, il quale non ha peraltro fatto una piega da quel grande professionista che è. A fronte abbiamo vinto una coppa Italia e una Supercoppa, ubriacandoci di gioia e di illusioni, sperando fosse l’inizio di un ciclo.



E invece poi il ciclo è abortito dopo due stagioni, finendo com’era cominciato in una stretta di mano e un sorriso a beneficio della stampa. Quando finisce un amore ci si chiude nel dolore, e si rimandano i bilanci a quando sarà ormai trascorsa l’ultima notte, che nel nostro caso deve ancora venire. Un’ultima, fatidica notte dalla quale dipenderà molto della nostra facoltà di riprenderci dal trauma.



Questo regalo d’addio lo vogliamo; lo pretendiamo, anzi. Come se nell’atto di lasciarci, la nostra bella incompiuta partner ci dovesse presentare chi, almeno per il tempo dei preliminari, prenderà il suo posto. Per ritrovare le ragioni di un sorriso, e meglio per sopportare una partenza e anzi più d’una, se è vero che dalla chiacchierata di ieri emerge il sostanziale azzeramento delle strutture tecniche societarie come ai tempi del Pcus negli anni di piombo.



Nel momento della separazione, peraltro, si pensa al breve tempo trascorso insieme; e la mente va alle storie del passato, quelle dei nostri genitori, quando si rimaneva legati per una vita e anche oltre. È allora oggi più di quanto avremmo fatto in altri giorni che abbracciamo in lacrime il nostro piccolo, immenso Petisso che ci lascia un buco nel cuore ben più grande di questo mediatico signore di cui speriamo di dimenticare presto il nome.



Perché non può esserci nessun raffronto tra il piccolo fastidio di sentirci un po’ accantonati dal compagno di un respiro, uno che è venuto pieno di Europa e che ci lascia attaccati alla speranza di un preliminare rispetto all’immenso dolore di perdere un Napoletano più Napoletano di chiunque sia nato in riva a questo mare.



Sì, perché non ti dimenticheremo mai, passerotto azzurro che svolazzavi sulla fascia e poi svolazzavi di nuovo su quella stessa fascia ma al di là della linea, con quel meraviglioso cappotto color cammello che portava la nostra stessa fortuna fatta di corni e asini bardati e manciate di sale. Tu che hai trasudato amore nel fumo di un milione di sigarette e migliaia di partite a poker.



Tu che ci hai insegnato quanto sia argentina questa città, tracciando strade percorse poi da altri Nani Immensi che tanta gioia ci hanno dato.
Parlavi spagnolo anche tu, Petisso: ma il tuo spagnolo veniva da questa stessa terra, dove hai scelto di trascorrere questa bellissima esistenza. Perché, se si ama davvero, l’amore non finisce mai. Non finisce mai.