Napoli non è muta. Per chi sa leggere

di Aldo Masullo
Venerdì 31 Ottobre 2014, 23:16 - Ultimo agg. 23:23
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Si raccontava che il giovane Jean Paul Sartre fosse andato un giorno a far visita a Martin Heidegger e che, appena lui congedatosi, al più vecchio filosofo gl’intimi avessero chiesto quale impressione avesse avuta del più giovane. Heidegger avrebbe risposto: «È molto intelligente, ma dell’Essere non ha capito nulla».



Così, letta l’ultima nota di Ernesto Galli della Loggia su «Martone e l’enigma di Napoli», a me, fatte le debite proporzioni e con tutto il rispetto per lo studioso, vien fatto di dire che lui è molto intelligente, ma di Napoli non ha capito nulla.



Secondo Galli della Loggia, Napoli «è da tempo un testo muto e illeggibile». Fin qui si può anche essere inizialmente d’accordo. Ma egli aggiunge che l’enigmaticità di Napoli «dal presente si allarga inevitabilmente anche al passato» e che «il folklore viene così ad essere il solo surrogato di rappresentazione possibile». Anzi «la modernità napoletana, nel momento in cui si cerca di rappresentarla, diventa immancabilmente folklore». L’esempio? La camorra! «Cosa c’è a suo modo di più moderno della camorra?» Eppure, a partire da «Gomorra», che ne sarebbe «la rappresentazione più fattualmente adeguata», «tutto alla fine compone una sorta di folklorica sceneggiata contemporanea»!



Un arbitrio intellettuale, incomprensibile in uno storico di professione, è il lamento per l’irrappresentabilità di Napoli. Qui, scrive Galli della Loggia, «la modernità tende a spogliarsi di qualunque contenuto propriamente riferibile a sé medesima, al suo significato diciamo così universale, e a rompersi in mille direzioni inconciliabili fino a divenire puro (e dunque insignificante) connotato cronologico». Che Napoli non goda di ottima salute è purtroppo esperienza quotidiana di noi che vi abitiamo.



Ma cosa pretenderebbe il professore di trovarvi, che non vi trova? Come può uno storico serio, qual è Galli, esigere da una città contemporanea la rappresentazione della modernità nel suo significato universale? Il giudizio dello storico non riguarda mai né l’astratto universale né il presente, ma solo il passato nella sua documentabile effettività. Invece il giudizio sull’universale è ideologico, espressione del desiderio di un ordine prefigurato, mentre il giudizio sul presente è politico, è una dichiarazione di consenso o dissenso nei confronti dell’attuale azione del potere sovrano.



Insomma non solo a Napoli, ma in nessuna parte del mondo può trovarsi rappresentato un presente significato universale della modernità. Questa del resto, se proprio volessimo osare di abbozzarne un’identità, non esibisce alcun altro nocciolo ideale, senza eccezioni, se non nel riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni individuo umano, nessuno escluso. Si dà il caso che proprio due napoletani, a poco più di un secolo di distanza l’uno dall’altro, ne annunciarono i principî fondanti. Giordano Bruno proclamò che non v’è centro assoluto e ogni uomo, come ogni punto dell’infinito universo, è centro; Giambattista Vico indicò come la tormentata storia dell’umanità abbia nella realizzazione universale del diritto il suo motivo propulsore. Tolti questi due principî, l’altro straordinario fattore della rivoluzione moderna, cioè la riduzione quantitativa della realtà fisica e la conseguente colonizzazione tecnologica della società, resterebbe vuota di significato civile. Non v’è dubbio che a Napoli nell’ultimo mezzo secolo si siano purtroppo consolidate due forze nemiche dei principî in cui, se proprio si vuole, si può identificare la modernità. Si tratta di due potenti patologie, che hanno malauguratamente rinverdito le loro lontane e però mai tagliate radici tardofeudali: la camorra e la subalternità politica.



Per il resto, quale grande città italiana, pur indenne o quasi da queste patologie, ma ridotta a centro turistico, come Roma, o a dominanza digitale, come Milano, riesce a rappresentarsi con una sua forma propria, originale, di modernità? Quale città del mondo sviluppato, ormai costellato di mostruose megalopoli, riesce a non rinnegare con le sue crescenti marginalità e i suoi mal dissimulati ghetti i proclamati principî di sostanziale uguaglianza e di solidale libertà, in cui soltanto, al netto di tutte le accidentali particolarità, può universalmente identificarsi la modernità?



Ancor più forte stupore suscita l’altro arbitrio intellettuale, tanto più grave in quanto commesso da uno storico illustre come Galli, di identificare il passato con il folklore, e a folklore ridurre il presente di Napoli. Certamente di ogni città il folklore è solo un minimo frammento superstite, o «rottame del passato», ma non è il passato propriamente detto, in tutta la sua complessa ricchezza di pensieri e di fatti, in breve non è la storia. A Napoli, la visibile malattia è la miseria del presente schiacciato sotto il peso di un passato densissimo di sovrapposti strati delle più diverse culture antiche e, dal medioevo in poi, dei più diversi ordini politici europei. Tanto pesante è questo passato, inquinato di tutte le cause delle attuali tremende difficoltà, che il ponte da esso al presente è come se, sotto il peso eccessivo, fosse crollato. Tuttavia nell’inarrestabile cambio dei tempi il passaggio è avvenuto, e sta avvenendo, ma a gran fatica e a prezzo di sofferenze sociali, prolungate e acute ben più che altrove. «Immobile», come io stesso una volta la condannai, non è la Napoli dei molti che lavorano e studiano e s’ingegnano, ma la Napoli politica. Altro che folklore! Peraltro a Napoli il folklore, per quel tanto che se ne può trovare, non consiste tanto, come generalmente il vero e proprio folklore, di vecchi modelli festivi di autorappresentazione popolare occasionalmente ancora evocati, quanto di una vivente energia esistenziale che nonostante tutto si afferma. Qui, in un farsi a sé di se stessi teatro, è la risata il collaudato rimedio quotidiano per non soccombere al dolore, per non piangersi addosso: ogni autentico popolano è un Eduardo.



La Napoli di oggi non è «un testo muto e illeggibile». Bisogna soltanto con pazienza ed amore imparare a leggerlo.