Nulla di penale perciò la politica finisca in piazza

di Massimo Adinolfi
Lunedì 30 Marzo 2015, 23:42
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La politica, diceva il socialista Rino Formica, è «sangue e merda»: non poteva sapere che delle sue disincantate parole si sarebbe fatto interprete il responsabile delle relazioni istituzionali del Gruppo Cpl Concordia Francesco Simone, come ora risulta dalle intercettazioni che accompagnano gli arresti scattati ieri, su disposizione del gip Amelia Primavera. In carcere sono finiti infatti il sindaco di Ischia, Giosi Ferrandino, e altre nove persone, per l’opera di metanizzazione realizzata nell’isola dalla cooperativa Concordia, ma sulle prime pagine c’è finita la merda, cioè la politica. Cioè D’Alema: Simone e la sua cooperativa non avevano infatti solo rapporti corruttivi con Ferrandino, secondo l’accusa, ma anche, più in generale, rapporti opachi col mondo della grande politica. In base al criterio: politici che «mettono le mani nella merda», politici che le mani non ce le mettono.

C’è voluta, naturalmente, un’inchiesta, ma ci sono volute, soprattutto e ancora una volta, le intercettazioni allegate all’inchiesta. E la determinazione del gip, va da sé, a dare loro grande evidenza: non per precisare il reato, ma per illuminarne, come si dice, il contesto. Il che significa: non per circoscrivere, come sarebbe doveroso, ma per allargare lo sguardo, fin dove secondo il magistrato conviene guardare. Non importa quanto lontano si giunga dai fatti contestati, mentre importa, evidentemente, quanto vicino si giunga alla politica. A quale scopo infatti, sono state rese pubbliche le intercettazioni? Allo scopo – scrive il giudice – non di riferire fatti e circostanze, ma di «comprendere fino in fondo e delineare in maniera completa il sistema affaristico organizzato e gestito dalla Cpl Concordia». In questo «sistema», compare, spunta, emerge il nome da prima pagina, quello di Massimo D’Alema, la cui ombra viene evocata del tutto a prescindere dalla rilevanza penale delle conversazioni intercettate, e naturalmente senza che neppure sia indagato lui o la Fondazione Italianieuropei da lui presieduta. Non c’entra Ischia, non c’entra il metano, non c’entrano i reati: c’entra la merda.

Non si tratta infatti di un coinvolgimento di alcun tipo nei fatti finora emersi. A prendere rilievo agli occhi del gip Primavera è «l’approccio» di uno degli arrestati, quel Francesco Simone a cui si deve l’aurea distinzione fra politici con le mani nella merda, e politici senza schizzi di merda sui polsini delle camicie. Secondo Simone, tra i primi dunque rientrerebbe D’Alema, a cui perciò venivano fatti regali: acquisto di vini, acquisto di libri; secondo il giudice, poi, che di Simone allega le intercettazioni, esse sono «di estremo rilievo» – anche se, pensa un po’, non di rilievo penale si tratta – perché la distinzione «dice tutto a proposito del modus operandi della Cpl e dei suoi uomini». Non, beninteso, del modo di operare di D’Alema: ma intanto il gioco è fatto e la merda è finita nel ventilatore.

Il giudice finge cioè di non sapere o di non essere interessata a un punto (questo sì: di estremo rilievo) che è invece decisivo richiamare: ciò a proposito di cui sarebbe utile che gli atti dicessero tutto sono i fatti, gli addebiti, le circostanze, gli elementi di prova raccolti, non certo il «modus operandi» di Tizio o Caio, o che razza di persone spregevoli risultino essere Tizio o Caio, magari agli occhi di Sempronio. Spostare così inopinatamente l’attenzione dal reato al reo è dire addio a un principio fondamentale di una civiltà giuridica liberale, è avvicinarsi a quei tempi bui in cui era la personalità dell’accusato a attirare l’azione punitiva, non gli atti commessi. Peggio ancora quando quella personalità la si vuole colpire obliquamente, grazie alle parole di un altro. Francamente, ci auguriamo tanto che quei tempi non tornino, neanche se a volerlo fosse un’opinione pubblica che sembra non desiderare altro se non di vedere qualche politico di spicco additato al pubblico ludibrio.

Ma il vento continua a soffiare forte in tutt’altra direzione. Si discute in Parlamento di una legge sulle intercettazioni? Subito il presidente dell’Anm Sabelli lancia l’allarme: attenzione a non «allargare a dismisura il perimetro della non pubblicabilità degli atti», come se non ci fosse oggi abbastanza pubblicità, o come se i magistrati non pensassero bene di allargarlo ogni volta in senso contrario, nell’interpretazione più estensiva possibile del «contesto» che serve a lumeggiare l’inchiesta. Ma intanto quelle parole servono a tracciare un discrimine morale: fra quelli che vogliono nascondere la merda (i politici) e quelli che invece vogliono portarla alla scoperto (i magistrati).

Che poi Formica intendesse tutt’altro da ciò che comunemente si intende, che con la merda intendesse la capacità della politica di misurarsi col mondo com’è, con le bassezze degli uomini, per tirarne fuori un mondo migliore e non certo per rimanerci invischiati dentro, chi volete che oggi provi a dirlo? E chi mai potrà dirlo, finché i magistrati si interesseranno molto meno degli elementi di prova, essendo i reati difficili da provare e i processi difficili da condurre a termine, e molto di più del «sistema», del «modus operandi», dell’«approccio», e di pronunciare un unico inappellabile giudizio morale, che la politica è una merda?