Macaluso: non è di sinistra delegittimare il sindacato

di Gigi Di Fiore
Sabato 22 Novembre 2014, 22:59 - Ultimo agg. 23:22
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Al Pci aderì in clandestinità nel 1941, della Cgil è stato fondatore e dirigente dal 1944 al 1956.. A 90 anni, Emanuele Macaluso è un pezzo di storia della sinistra italiana.

Ex parlamentare, nel comitato centrale del Pci con Togliatti, direttore dell’Unità e poi del Riformista, è voce autorevole ad intervenire nel dibattito sull’essere di sinistra, partito dal contrasto tra Renzi e la Cgil e sfociato nella lettera del premier a «Repubblica».



Senatore Macaluso, ha visto la lettera di Matteo Renzi pubblicata da «Repubblica»?





«Sì, credo sia conseguenza soprattutto dello scontro serrato delle ultime settimane di Renzi con i sindacati e con la sinistra nel Pd».



Come interpreta il testo?



«Credo che l’iniziativa sia scaturita anche dalle cadute significative di consensi al governo negli ultimi sondaggi. La strategia politica di Renzi è stata finora soprattutto quella di allargare i consensi nell’area moderata, accentuando la polemica con la sinistra e il sindacato. Ha cercato di tranquillizzare i moderati, con più iniziative, come il patto del Nazareno o la riforma dell’articolo 18. Ora cerca di riequilibrare».



In che senso?



«Rivendicando la sua appartenenza alla sinistra, in risposta ad un commento del direttore di Repubblica, ha tentato di tranquillizzare la parte dell’elettorato più a sinistra. E lo fa anche in vista delle elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna». ù





Un riequilibrio interno?





«Sì, in un partito come il Pd che ha cercato di mettere insieme, da tempo, gli eredi della Margherita, e quindi della sinistra cattolica democristiana, con gli eredi di parte del Pci. La mia impressione è che non ci sia mai stata una vera sintesi politico-culturale tra queste due anime del Pd».



E il Pantheon di personalità del passato che Renzi considera il suo riferimento politico?





«Anche qui, prima Renzi citava sempre e solo De Gasperi evocandolo come emblema della modernizzazione europea italiana. Perché solo lui e non anche Nenni e Saragat, ad esempio. Ma il problema non è il Pantheon, ma sempre la sintesi culturale e politica nel Pd».



Renzi non cerca di favorirla?



«C’è da chiedersi quale sforzo collettivo si sia tentato alla Leopolda per arrivare ad una elaborazione culturale e politica condivisa».



Renzi cita Berlinguer tra i suoi riferimenti politici. Che ne pensa?



«Berlinguer aveva una sua cultura politica e voleva il socialismo. Quando Renzi cita anche La Pira, parla di un politico che voleva invece il solidarismo cattolico e non il socialismo. Come vede, anche nel suo Pantheon mette assieme personalità rispettabili, ma su cui occorrerebbe nel Pd una sintesi culturale e un progetto politico. E su questo vedo il vero problema della sinistra».



In che senso?



«Una forza di sinistra non deve avere come preoccupazione solo gli atti di governo. Sono importanti, ma accanto bisognerebbe elaborare un solido progetto di società che invece non vedo. La battaglia politica ha un senso, se tende a realizzare una sua idea sociale. Non basta dire sono di sinistra, perché ho portato al voto il Jobs Act. Lo dico senza esprimere giudizi di merito su questi provvedimenti, che verificheremo all’opera dopo i decreti di attuazione».



Esiste ancora un’ideologia riconoscibile di sinistra?



«Oggi c’è l’ideologia della non ideologia. Nello scontro di Renzi con il sindacato ho visto una conflittualità aspra, quasi come quella che esisteva negli anni ’50 del secolo scorso. Lo dico come uno che, per 12 anni, dal 1944 al 1956, ha fondato la Camera del lavoro e ha avuto incarichi nella Cgil».





Si schiera con Landini, quindi?



«Non dico che tutto l’agire della Cgil sia ben fatto. Anche il sindacato ha le sue responsabilità, ma è rischioso delegittimarlo in un momento di tensioni e scontri sociali di piazza».



Perché?



«Se si indebolisce il sindacato, arriviamo alla jacquerie. Se non si capisce questo, si è fuori strada. L’ho vissuto in Sicilia, quando si bruciavano i municipi. L’alternativa al confronto sindacale è la jacquerie. Con tutti i rischi che ne possono derivare. Una forza politica che si dice di sinistra non può non riflettere su questo».



Renzi cerca poco il confronto?



«Al di là di Renzi, ragiono sul Pd. Non c’è più ragionamento, confronto reale, dibattito. La vita democratica è anche discussione tra idee. Non bastano le primarie. Occorre confrontarsi sui valori di riferimento, per dare un senso allo stare insieme».



Troppe anime diverse nel Pd?



«La diversità è un valore se arriva a sintesi. Per fare questo, occorre la discussione».



Si discute solo nei talk show televisivi?





«Sì, ma i talk show sono la rovina della politica. Risse verbali a chi urla di più per attrarre attenzione. Non sono nostalgico del passato, ma del passato bisogna sempre vedere cosa c’è da seppellire e cosa da conservare».





Come definirebbe la sinistra?



«Mi rifaccio alla sintesi fatta da Norberto Bobbio in un suo bellissimo libretto: si può considerare forza di sinistra quella che ha come obiettivi della sua azione politica e culturale l’uguaglianza e il progresso».



Crede siano le finalità del Pd?



«Siamo di fronte ad un periodo di aumento delle disuguaglianze sociali.
Una forza di sinistra dovrebbe provare a invertire questa tendenza».