Patuelli (Abi): «Banche chiuse, libertà a rischio»

di Nando Santonastaso
Lunedì 29 Giugno 2015, 23:34 - Ultimo agg. 23:44
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«Facciamo attenzione a come sarà formulato il quesito referendario per i greci: loro i referendum li hanno inventati» avverte Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, l’Associazione delle banche italiane. Non è una riflessione secondaria, tutt’altro: «Non credo che si chiederà loro di rimanere nell’euro o meno, penso che l’interrogativo sarà radicalmente diverso» aggiunge Patuelli che guarda con giustificata attenzione all’unica scadenza certa della crisi ellenica, il test di domenica prossima.

Vuol dire che il referendum non metterà in discussione l’appartenenza della Grecia all’Unione europea e dunque alla moneta unica?

«È comprensibile che in queste ore si dia un grande risalto al significato politico del voto popolare greco. Ma alla fine sarà l’atto giuridico, la risposta cioè al quesito referendario per capirci, ciò che conterà veramente. Che l’euro sia senza alternative lo dice la Bce, lo dice l’Unione europea, lo dice il governo italiano: ma, ci hanno fatto caso in pochi, anche il governo di Atene non ha mai detto il contrario...».



Ma lei, da presidente dell’Abi, è convinto che il futuro sia ancora nel segno dell’euro?

«Dal 2011 al 2015 l'euro, per merito della Bce e di Mario Draghi, si è ulteriormente rafforzato sui mercati internazionali. Pur avendo solo 15 anni di vita, ha assunto una forte autorevolezza al punto che viene difeso apertamente anche da quelli che non l’hanno adottata: le parole pronunciate da Obama e da Cameron lo dimostrano in maniera esemplare. L'euro ha fatto risparmiare tantissimi soldi ai cittadini italiani che quando devono pagare i mutui sono sorpresi da tassi così convenienti: niente di paragonabile al costo del denaro di quando c’era la lira. Se si tornasse indietro, con una crisi economica ancora robusta, gli aggravi sulle tasse sarebbero stati drammatici».



Torniamo alla Grecia: che effetto le fa, da presidente delle banche, pensare che in un Paese europeo per una settimana tutti gli sportelli del credito restano chiusi?

«Le libertà sono una catena, dal punto di vista religioso, civile ed economico. In Grecia dall’immediato secondo dopoguerra non si può dire che ci sia stato un continuum di democrazia. Basti ricordare che 40 anni fa le istituzioni democratiche erano chiuse e c’era la dittatura militare. Quando, e vengo alla domanda, le banche vengono chiuse, su ordine governativo, fino al giorno dopo un referendum convocato in maniera un po’ straordinaria, vuol dire che in quel Paese è in atto una tensione molto forte. Visto che la deliberazione non è della Banca centrale greca né delle imprese bancarie elleniche, è chiaro che siamo di fronte a un elemento di problematicità forte di questa crisi, nata come crisi economica in Grecia ma poi diventata politico-istituzionale su scala europea».



Sta dicendo che con i greci bisogna aspettarsi simili strategie?

«Dopo Platone e Ariostotele ci sono stati un po' di intervalli democratici in Grecia: nel secondo dopoguerra gli anni della guerra civile, l’avvento di una monarchia un po' declinante, i colonnelli che l’hanno scalzata. A differenza del resto dell'Europa occidentale che dal '45 in poi ha avuto una continuità democratica, la Grecia è rimasta un paese di frontiera, di complesse tradizioni istituzionali e soprattutto di una fragilità politica che si rivela anche nel momento in cui viene indetto il referendum a sorpresa».



Curioso che alla fine, gira che ti rigira, si torni comunque a parlare di banche, secondo molti una delle cause della crisi economica mondiale...

«Le banche sono un simbolo della libertà d'impresa. Sono imprese fornitrici di servizi alle imprese e alle famiglie e di conseguenza non determinano le politiche economiche dei rispettivi Paesi. Cosa c’entrano le banche con il Fondo monetario internazionale? O con l’Ue che è una istituzione, non una banca, in cui peraltro sono rappresentati tutti i governi? O con la stessa Bce che è la sintesi delle banche centrali nazionali? Le politiche economiche non vengono decise dalle banche».



Già, presidente: ma a questo punto se nemmeno l’Ue sa come uscirne, è difficile parlare di prospettiva dell’Ue.

«Diciamo che ora siamo anche sull'orlo di una crisi internazionale: ma prima che economica e finanziaria, è una crisi politica. Abbiamo già dimenticato l’Ucraina e i costi dell’embargo ai russi perché l’Ucraina è molto più ad est della Grecia. Ecco perché credo che gli orizzonti della vicenda non sono solo economico-finanziari ma anche di geopolitica internazionale. Se Obama, leader della moneta più importante del mondo, con cui compete l'euro, si preoccupa della solidità dell'Europa, vuol dire che l’importanza della Grecia sullo scacchiere politico e geografico europeo è enorme».



Lei sostiene da giorni che l’Italia è in una botte di ferro, che non ci saranno contagi per i conti pubblici: ci spiega da dove nasce questo ottimismo?

«Attento alle citazioni: quando Attilio Regolo parlò della botte di ferro dimenticò di dire che il ferro era all'interno della botte... Di sicuro non siamo più nell'Italia del 2011, dello spread a 550 punti e dell’escalation dei tassi, della crisi del debito sovrano che si accompagnava a elementi recessivi. Ora la recessione è passata e si discute di quanto possa essere rilevante al crescita economica del 2015 e del 2016. Proprio ieri i dati dei mercati dicono che il cambio euro-dollaro è rimasto sostanzialmente invariato: le esportazioni italiane continueranno dunque a beneficiare di questo forte vantaggio. Non va dimenticato che in particolare in quest’ultimo anno l’Italia ha fatto scelte importanti sul piano delle riforme».



L’Italia è però esposta per circa 40 miliardi verso la Grecia...

«Verissimo ma i miliardi che dovremo riavere non sono comunque miliardi di perdite: parliamo di prestiti, che hanno delle problematicità. La Grecia è un debitore in difficoltà ma chi lavora in banca come me sa che tutti i giorni ci sono debitori in difficoltà con i quali bisogna fare i conti. E fare i conti vuol dire affrontare complessità negoziali. E in queste complessità c'è anche la Grecia».