Pd nel caos, lo psicodramma degli eterni indecisi

di Vittorio Del Tufo
Domenica 21 Dicembre 2014, 23:36 - Ultimo agg. 23:44
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Ormai non è più un partito, è una seduta di psicanalisi permanente. Solo che al posto del lettino ci sono i tavoli delle riunioni: tante, estenuanti e finora inutili riunioni. Un pellegrinaggio infinito tra Napoli e Roma per trovare uno straccio di candidato che metta tutti d’accordo e consenta di superare le primarie tra Andrea Cozzolino e Vincenzo De Luca. Sono mesi ormai che il Pd ci sbatte la testa: pur di evitare il ring tra l’eurodeputato e il sindaco di Salerno, che ci hanno messo la faccia e muovono da tempo le rispettive truppe, i big locali e nazionali del partito sono disposti a tutto. Hanno provato dapprima a rinviarle, queste benedette primarie, poi a congelarle. Il primo obiettivo è stato centrato solo grazie allo straordinario assist dell’election day, con lo slittamento a maggio del voto regionale e all’11 gennaio della consultazione interna. Ma sul terzo nome solo ipotesi (Migliore, Amendola, Cuomo) tanta indecisione e nessun accordo. Allora è scattato il piano B: trovare una maggioranza qualificata in assemblea regionale per bloccare il voto di gennaio ed evitare lo spargimento di sangue. Ieri l’ennesima riunione-flop, con il ritorno al punto di partenza, cioè alla moral suasion: cari candidati, noi rinviamo (di nuovo) le primarie, voi fate un passo indietro.



Troppo tardi, probabilmente. Cozzolino tanto quanto ci potrebbe anche stare, ma De Luca non ha alcuna intenzione di cedere: d’altra parte, il sindaco sceriffo ha già fatto capire di essere sceso (per la seconda volta) in campo non solo contro l’ex assessore regionale ma anche contro il suo stesso partito, che ora lo guarda come un marziano e si ritrova in seno una serpe tutt’altro che addomesticabile. È chiaro, a questo punto, che qualsiasi tentativo messo in campo per rimediare all’errore precedente rischia di trasformarsi in una nuova frittata. Insomma pasticci su pasticci, in una spirale senza fine che sta facendo, in queste ore, la felicità del centrodestra.

C’è da chiedersi, a questo punto, cos’altro si inventeranno i vertici del Pd per frenare la corsa dei due candidati così poco renziani e impedire lo svolgimento di una consultazione che era nata proprio con l’obiettivo - ma evidentemente avevamo capito male - di lasciar scegliere alla base il nome del candidato. Ma forse le primarie, declinate in Campania, hanno un senso solo quando servono a celebrare, con un rito collettivo di consacrazione, il candidato scelto dalla leadership del partito. L’assenza di questo candidato - il mitico terzo nome, inseguito in queste settimane come il Santo Graal - ha gettato i vertici del partito nello sconforto più totale. E in uno stato di confusione mentale che tradisce, in realtà, una difficoltà tutta politica: quella di rimettere insieme i cocci dopo il suicidio delle primarie-scandalo del 2011, che di fatto consegnarono la città a De Magistris. E di esprimere, nello stesso tempo, una ventata di novità. Aria nuova, volti freschi e soprattutto autorevoli, in grado di tenere botta al vecchio che avanza e superare lo stillicidio di veti, incomprensioni, litigi, capitribù, correnti, cespugli e giochi di potere che a Napoli e in Campania hanno trasformato il primo partito d’Italia in una provincia dei Balcani. E uno strumento di democrazia partecipativa - le primarie, appunto - in una barzelletta.