Se la posta in gioco è il futuro

di Davide Tabarelli
Martedì 6 Ottobre 2015, 22:53 - Ultimo agg. 23:37
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Sono 3500 gli occupati che lavorano a Viggiano, provincia di Potenza, intorno al centro oli dove si concentra l’estrazione della Val d’Agri, il più grande giacimento di petrolio su terra d’Europa.



Hanno un contratto a tempo indeterminato destinato a durare a lungo, proprio grazie ai giacimenti, hanno conti correnti in banca, per merito non per fortuna, alti; possono destinare soldi a fare il mutuo, acquistare macchine, mandare a scuola i figli e qualcuno comincia a pensare a fare l’imprenditore, a rischiare del suo, e ad assumere operai.



È un tessuto economico solido e sviluppato e rappresenta il principale risultato dell’estrazione del petrolio di questi 16 anni in Basilicata. Poi c’è anche il miliardo e 600 milioni incassati dalla Regione, solo in parte spesi, attraverso le royalties, ma che comunque sono andati a fare più struttura economica, a finanziare imprese, sanità, scuole, strade, musei, cultura.



La ricchezza da sempre la produce chi ha la tecnica e oggi questa la fanno le grandi imprese, come quelle del petrolio, a cui lo Stato demanda il compito di sfruttare le risorse, come i giacimenti. Questa ricchezza va poi redistribuita alla collettività e ciò avviene con la tassazione dei profitti e con il sistema delle royalties.



In Italia ogni anno le compagnie petrolifere versano circa mezzo miliardo di euro di royalties sul petrolio a cui si somma un altro mezzo miliardo di tassazione sui profitti. La produzione attuale di gas e petrolio in Italia è di 11 milioni tonnellate equivalente di petrolio (Mil.tep), circa il 10% della domanda totale interna.



Da noi, come nel resto del mondo, petrolio e gas coprono ancora oltre il 60% dei consumi di energia, peso destinato a scendere solo leggermente nei prossimi 20 anni. La produzione interna potrebbe essere il doppio, 22 mil.tep, come indicato dalla Strategia Energetica Nazionale approvata dal governo nel 2013 e come fu fino al 1995.



a mancata produzione significa mancate entrate per tasse più basse e minori royalties, per un totale di un miliardo di euro all’anno. L’arretramento della produzione negli ultimi 20 anni ha significato minori entrate dell’ordine di 10 miliardi di euro che, per almeno un terzo, poteva andare alle regioni del Sud.



Visto che importiamo il 90% del nostro fabbisogno, quel miliardo viene trasferito ad altri Paesi, spesso produttori che magari ci sponsorizzano squadre di calcio in Europa, o che comprano armi per le loro guerre. È come se all’estero avessimo almeno 2000 pozzi che lavorano esclusivamente per noi. È un trasferimento irragionevole, visto che gli uffici competenti dello Stato, dove lavorano ottimi tecnici, giustamente ben pagati con le nostre tasse, hanno da tempo dato le necessarie autorizzazioni.



Le Regioni, in particolare quelle che ora si sono messe insieme per il referendum, sono le principali responsabili del mancato sviluppo di questa ricchezza. La giustificazione è sempre il timore di danno ambientale, ma le statistiche dicono che questa è una delle industrie più sicure, con il tasso di infortuni e di incidenti più basso, e dove vengono applicate le tecnologie più avanzate proprio per evitare incidenti.



Non esiste al mondo un’area produttiva, come quella della Val d’Agri, così monitorata per gli impatti ambientali. Di riserve in Italia ce ne sono in abbondanza, già scoperte per circa 150 mil.tep, ma probabili, se si potesse fare ricerca, per almeno tre volte. Il giacimento della Val d’Agri in Basilicata, di tutti gli italiani, produce con un limite posto dalla regione di 5 mil. tonnellate anno, ma potrebbe tranquillamente raggiungere i 7 mil. tonnellate.



Poco più sotto c’è il giacimento di Monte Alpi che da oltre 10 anni la Total cerca di sviluppare, ma con enormi difficoltà autorizzative e che ha deciso di rinviare, almeno oltre il 2017, complice anche il recente inaspettato crollo del prezzo del barile. La sua produzione doveva esser da tempo a quasi 3 mil.tep anno.



Poco sotto Potenza, alcune indicazioni fanno ritenere che ci sia un altro grandissimo giacimento, ma la regione non consente di fare nuove esplorazioni per capirne di più. Di fronte alla Puglia o alle coste della Basilicata vi sono potenzialità enormi, tutte da verificare, cosa che si può fare solo con pozzi esplorativi come quello che ha permesso a ENI di scoprire un giacimento enorme ad inizio settembre di fronte all’Egitto.





Gli impianti di perforazione, brutalmente trivelle, fanno pozzi in circa 6 mesi, poi, se sono produttivi, se ne vanno e lasciano il posto a impianti a terra, o a piattaforme se sono a mare, che regolano l’estrazione del gas e del petrolio negli anni successivi. In Italia di pozzi produttivi ce ne sono circa 900, di questi gran parte a gas, e di piattaforme un centinaio anche queste soprattutto a gas. Il referendum richiesto riguarda le piattaforme, impianti complessi concentrati soprattutto nell’Adriatico.



Gli investimenti pronti a partire per sfruttare le riserve già da tempo scoperte sono di almeno 5 miliardi di euro, che andrebbero ad attivare una richiesta di tubi, valvole, flange, attrezzature che le imprese italiane, alcune al Sud, sono bravissime a produrre e, non a caso, le vendono in giro per il mondo.



Il nostro Paese, ma soprattutto il nostro Sud, ha un disperato bisogno di far ripartire il manifatturiero per fare crescita e soprattutto posti di lavoro.
Questo lo sanno bene gli operai di Viggiano che, in maniera silenziosa, continuano a fare molto bene il loro mestiere e sperano, come molti altri, in una maggiore saggezza delle regioni del Sud.