Tutti alle urne un esempio da rispettare

di Pietro Perone
Sabato 4 Luglio 2015, 23:03 - Ultimo agg. 23:44
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Colpisce come i greci, fiaccati dalle sempre più inutili code ai bancomat, si recheranno in massa alle urne per decidere se l’accordo che gronda altre «lacrime e sangue» proposto dall’Europa vada accettato o rispedito al mittente per riaprire la trattativa.



Si prevede infatti una partecipazione al referendum intorno al novanta per cento, cifra astronomica se raffrontata alle percentuali di votanti che si registrano nelle consultazioni popolari di altri paesi europei, per non parlare delle tornate elettorali dove ormai il numero di coloro che restano a casa supera quello di chi si reca alle urne.



Ad Atene, come nella più remota isola del mare Egeo, si prevede una quasi plebiscitaria affluenza e sarà questo il dato politicamente più significativo del verdetto di stasera. Il popolo greco, sia che vinca il no o il fronte opposto, testimonierà al resto dell’Europa che vuole contare e determinare il proprio futuro, una lezione di democrazia lì dove la democrazia è nata.



Potrà l’Europa ignorare un segnale così forte che arriverà dall’arcipelago a cui spetta il copyright del concetto di Polis? Dall’Unione del solo rigore e dei bilanci in ordine, inevitabilmente si attende adesso una risposta politica che travalichi la scelta che compiranno i greci.



Può, insomma, un Continente che punta ad allargare ulteriormente i propri confini monetari ragionare unicamente con i parametri dei paesi del Nord che via via si sono trasformati nei «gendarmi» dei bilanci nazionali? O piuttosto è giunto il momento di prendere atto delle diverse velocità tra i Paesi dell’Unione, e all’interno delle stesse nazioni, cercando di offrire risposte adeguate?



In questo referendum è in ballo non solo cosa fare del debito greco, ma come rifondare l’Europa affinché le politiche monetarie siano il tassello non esclusivo di un processo di integrazione che soprattutto negli ultimi dieci anni ha segnato il passo, come il recente disaccordo sulle quote di profughi da ospitare drammaticamente testimonia.



Il pianto straziante dell’anziano di Salonicco davanti al portone sbarrato della propria banca, come quei volti smarriti delle decine di migliaia di pensionati in fila per ritirare i sessanta euro giornalieri, rappresentano un atto d’accusa nei confronti dei tanti governi, compreso l’attuale, che hanno continuato ad assecondare un sistema economico basato unicamente sull’indebitamento ad oltranza.





Ma i mille volti del crac greco rappresentano anche un monito per tutti affinché si possa ritornare sulle radici dello stare insieme. Che la Grecia fosse sull’orlo del fallimento lo si sapeva dal 2010, ma sia la Bce che l’Fmi hanno continuato a prestare danaro senza mai chiedere il conto.





Trattative su trattative, puntualmente concluse con altri prestiti e proroghe nei pagamenti, mentre ad Atene si disfacevano governi e si votava un anno sì e l’altro pure. È mancata una leadership europea in grado di dare un senso agli sforzi che si facevano per tenere unita l’area Euro, tortuosi negoziati tecnici unicamente fondati su previsioni economiche e non sulla necessità di imprimere una svolta alle istituzioni. È mancata la politica e lo stesso tentativo in extremis della cancelliera Angela Merkel di riportare il crac greco su un terreno di confronto non esclusivamente contabile si è infranto sul braccio di ferro tra creditori e debitori.





Un estenuante, a tratti stucchevole, gioco delle parti che termina oggi: da questa sera ci sarà un popolo che avrà detto cosa pensa di ciò che si tenta di decidere ad alcune migliaia di chilometri di distanza, sotto quel cielo spesso nuvoloso di Bruxelles così diverso dall’azzurro accecante di Ventotene, lì dove il sogno dell’unità europea fu partorito da Altiero Spinelli. Ma da qui bisognerà ripartire, consapevoli che il rito democratico celebrato oggi non prevede repliche perché in Grecia, culla della democrazia fin dal quinto secolo prima di Cristo, poi arrivarono i Colonnelli, dittatura finita non tanto tempo fa: era il 1974.





Alla Commissione Ue e soprattutto al Parlamento di Strasburgo, uno degli attori non protagonisti di questa tragedia, il compito di non trasformare quelle file ai seggi in una nuova, micidiale sconfitta della politica, preludio come sempre è avvenuto nella storia di una svolta autoritaria di cui in questo caso l’Europa sarebbe la principale responsabile.