Vettel e Rossi, l'Italia dei motori s'è desta

di Marco Ciriello
Domenica 29 Marzo 2015, 22:57 - Ultimo agg. 23:15
3 Minuti di Lettura
Due ragazzi, due lessici dell’immaginazione diversi, stessa vittoria. Sebastian Vettel una vita da Schumacher: dai kart alla Formula uno; Valentino Rossi: patriarca delle moto. Una diarchia che governa una Italia cannibale, che non lascia nulla, in una strana domenica di motori, bielle, cilindri, pistoni, valvole e velocità.



Ma soprattutto di riscatto. Dalla Malesia al Qatar, dalla Formula Uno al Moto Gp c’è un podio che parla italiano, che suona Mameli, sventola il tricolore, e ci sono dei risultati che saltano agli occhi. Nel motomondiale dietro Rossi arrivano altri due italiani in Ducati – tra l’altro – Dovizioso e Iannone. Rinnovamento e storia si confondono come le due piste e i due mondiali, in una sola grande vittoria. E, anche, le due biografie dei campioni si sovrappongono. Vettel, dopo aver urlato dal suo abitacolo nella radio di servizio tutta la gioia, come un cowboy ad un rodeo, ringraziando la squadra Ferrari e poi abbracciando uno ad uno meccanici e ingegneri in una sorta di vangelo dei motori; dopo aver alzato il suo volante prima ancora del trofeo di gara, ha teatralizzato la sua vittoria, in una festa in tre atti, come un italiano in gita, trasgredendo e stupendo. Valentino Rossi, invece, con la sua Yamaha, in un lungo monologo che lo vedeva decimo al primo giro, ha scalato posizioni, rubato tempo ad ogni curva, e infine ha potuto alzare la sua moto su una sola ruota, lasciandosi alle spalle i suoi rivali Lorenzo e Marquez. Una vera lezione di stile, perché come insegna: le moto non sono altro che un sistema di concetti realizzato in acciaio, che lui guida al podio. Vettel e Rossi, hanno dimostrato che abbiamo ancora delle speranze, e un mondo da spendere. Entrambi ci dicono che volontà e ricerca innestate su una grande storia possono riportarci dove siamo sempre stati: in cima.



Le loro vittorie rincuorano le cattive prestazioni della Nazionale di Antonio Conte, cancellano le polemiche, riscrivono il presente e lasciano immaginare un futuro che ci vede protagonisti, di nuovo. Di Vettel si sapeva che fosse l’Erede, il prescelto, capace di andare oltre i trionfi di Schumacher, di riportare la Ferrari alla vittoria; quello che non si sapeva era come l’auto di Maranello – del nuovo corso targato Marchionne – avrebbe tenuto il passo della velocità che il pilota tedesco richiede. Di Rossi, invece, tutti aspettano il ritiro, che lui protrae con gare strepitose, mancine, uniche. E persino quando perde, lascia una scia di bellezza in pista. Il suo andare oltre gli anni è un tentativo che per alcuni si configura come utopico. Ormai è il corridore più longevo, ci ha abituato ad ogni tipo di rimonta e vittoria, ma ogni volta riscrivendo se stesso, riscrive la sua storia, e sposta il tiro nella pista dell’inatteso. I due sono accomunati non tanto dai canoni della velocità, dalle imposizioni di scuderia e dalla fame di vittorie, quanto dal sentimento inconfondibile che li vede dover rincorrere quello che gli apparteneva: l’unicità. E ogni volta riprovarci e riprovarci e riprovarci. Nonostante le tracce del loro lavoro motoristico siano già cristallizzate dalla storia. Se è vero che quando c’è la vocazione le cose riescono facili, è anche vero che Rossi e Vettel hanno una grinta fuori dal comune, che ad ogni giro crea l’inferno, intimorisce spaventa e supera i loro avversari, e in ogni curva come Nuvolari e i ramarri: rinascono.



E con loro rinasce l’Italia dei motori, che hanno sotto la pelle anche fuori dalla pista.
Senza nessuna compassione o indulgenza, a tratti automi impressionanti che regalano palpitazioni che ci portano lontano dalla normalità di una Italia che è ferma ai box. Con calma e distacco si vanno a prendere il podio, mettendo una distanza che non è solo di tempo ma che diventa, nell’ultimo giro, una distanza da divinità dei motori.