Pasqua. Scaramanzia, rito e identità: la liturgia del cibo a Napoli

Pasqua. Scaramanzia, rito e identità: la liturgia del cibo a Napoli
di Tommaso Esposito
Martedì 31 Marzo 2015, 11:32 - Ultimo agg. 13:53
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Le tradizioni gastronomiche del periodo pasquale sono un insieme di abitudini consolidatesi nel tempo alcune delle quali hanno dei veri e propri caratteri di classicità, mentre altre sono frutto di contaminazioni recenti che non trovano nessuna menzione nei sacri testi della cucina napoletana.



Se da una parte, cioè, di pastiere, tortani, taralli, pizza chiena e casatielli c'è traccia addirittura a partire dal 1500 nelle opere poetiche di Giulio Cesare Cortese, Giambattista Basile e Giambattista Del Tufo o nei dipinti naturalistici di fine Settecento, dall'altra di zuppe di cozze da mangiare la sera dello Struscio poco si parla.

Vediamo di delineare, dunque, proprio a partire dalla sera del Giovedì prima della Pasqua, quale possa essere la ricostruzione di un vero e proprio menu delle feste che stanno a cavaliere tra la Settimana Santa e il Lunedì in Albis così come gli ultimi cento anni di storia della tavola partenopea è stato canonizzato.



Ovviamente il presupposto fondamentale per capirne le ragioni sta tutto nella rigorosa adesione ad una regola non scritta, ma di fatto sempre praticata, cioè quella di consumare le materie prime che la stagione ora rende migliori e conduce abbondantemente in dispensa. Più che zuppa di cozze lungo le strade delle cappelle, dove si ostentavano i Sepolcri odorosi di frumento germogliato e di fresie, i napoletani consumavano, ad esempio, una zuppa di maruzzielli e di tonninole, le telline, mentre nelle case, a leggere il ricettario - diario del Duca di Buonvicino Don Ippolito Cavalcanti, si preferivano i maccaroni incaciati con sugo di pesce, l'ombrina lessa, il fritto di alici e per dolce la pizza di pasta frolla con ricotta.



Di scammaro, cioè di magro, era il venerdì santo e pure il sabato. I manuali di cucina casereccia descrivono ricette per zuppe di legumi, lenticchie o fagioli, e di fave o piselli, ovviamente freschi perché ortaggi primaverili; vermicelli con burro e parmigiano; pane raffermo inzuppato con brodo di alici e vongole; uova 'mpriatorio, in Purgatorio, lasciate rapprendere in una salsa ristretta di pomodoro. Di uova, che le galline ovaiole largamente depongono in questo periodo, esistono una infinità di varianti per tutta la settimana santa: glassate con sugo di pesce o adagiati su un letto di cipollotti novelli fatti lentamente soffriggere o sode ricomposte con i tuorli pestati e conditi insieme a capperi e acciughe o, addirittura, alla monachile, cioè dolci, con i rossi amalgamati nel mortaio insieme a pan di Spagna vin di Malaga, zucchero e cannella.



Anche i carciofi dominano la tavola pasquale: all'oglio con petrosemolo e crostini fritti oppure lessati e ripassati in butiro, il burro, con concentrato di pomodoro oppure indorati e fritti o alla brace cotti interi con aglio novello, pepe e prezzemolo. Vere e proprie ritualità sono descritte, e perché oggi non potrebbero essere riprese, nella preparazione dei taralli e del casatiello dolce.



Quest'ultimo, detto anche palomma in alcune zone della Campania interna come il Casertano, è frutto di una lievitazione che dura,con quotidiane pause e riprese, a partire dal lunedì fino al sabato, giorno in cui viene infornato dopo essere stato ricoperto di glassa e abbellito con i confettini aromatizzati all'anice, i diavolilli.



La Domenica di Pasqua resta, però, il giorno della grande tavoliata. La carta l'ha scritta un simpatico poemetto di fine Ottocento: Pasca vo' a menestella mmaretata cu 'a gallinella, l'ainiello a 'o furno, 'o ppoco 'e spezzatiello, a felluccia 'e ricotta e supressata. Dunque, la minestra maritata, è bene ribadirlo, è una pietanza pasquale, non natalizia, poiché l'ammazzamento del maiale avveniva da fine gennaio in poi e, quindi, la disponibilità delle sue carni e dei suoi salumi migliori coincideva proprio con la Pasqua.



Non a caso salami, soppressate, fra cui le Palle di Nola o la mitica Feleppa, grande come un culatello, insaccata com'era nell'intestino retto del porco, il cularino, oltre ad essere consumati in antipasto insieme ai formaggi freschi rappresentano, frammisti tra le uova, il condimento più importante dei tortani e delle pizze chiene. Classico, dunque, per secondo 'o ruoto di agnello, meglio se il corachiatto il laticauda, cotto al forno con le patate, i pisellii i cipollotti e una spolverata di cacio pecorino. Timpani o timballi? Sono descritti dai Monzù. Sulle tavole popolari dominano lavanelle c'o Rraù. E non è poco, visto che infine ci sono le pastiere di grano con taralli e palomme.



E il lunedì? Avanzi di casatielli e frittate!