Pestaggio Schiavone jr, parla
testimone: temevo lo uccidessero

Pestaggio Schiavone jr, parla testimone: temevo lo uccidessero
di Mary Liguori
Domenica 29 Ottobre 2017, 18:28 - Ultimo agg. 19:30
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«Ho avuto paura che lo ammazzassero. Quel ragazzo era solo e loro continuavano a colpirlo, lui non reagiva. A un certo punto si è alzato, ma barcollava ed è andato a sbattere contro un tavolino. Non so come abbia fatto a uscire dal locale, in giro c’erano mucchi di ragazzi che si picchiavano, il caos più totale, e lui era tra quelli ridotti peggio». Parla uno dei giovani che erano presenti la notte della rissa nella discoteca di Carinaro, la notte in cui un gruppo di ventenni ha pestato il figlio del boss Francesco Schiavone. 
Il testimone, che ha appreso solo da Il Mattino che quello «ridotto male» era il figlio del capo dei Casalesi, vuole ovviamente restare anonimo ma, insiste, «non credo che quelli che lo picchiavano sapessero chi fosse, tutto penso sia iniziato per ragioni banali, forse un’occhiataccia». Ma tra gli aggressori c’era un nipote di Nuvoletta e dalla scazzottata tra ubriachi, al pestaggio, fino all’allerta faida, il passo è stato breve. Ventidue chilometri, quelli che dividono Casal di Principe da Marano. Nel mezzo, un locale di grido diventato per una notte una specie di arena. Da un lato le vittime, tra le quali Ivanhoe Schiavone, figlio del boss ergastolano «Sandokan», dall’altro i picchiatori, capeggiati a quanto pare da un nipote dei Nuvoletta di Marano. 
Rampolli di dinastie criminali, dunque, ma molto diversi da ciò che erano i loro padri e nonni alla stessa età. Se Sandokan a trent’anni innescava una guerra contro il padrino Antonio Bardellino, suo figlio Ivanhoe oggi è tecnicamente un incensurato, visto che è uscito assolto dall’unico processo che lo ha avuto imputato, incentrato su una storia di imposizioni di gadget di Natale in quel dell’Agro-aversano. È addirittura uno sconosciuto per le forze dell’ordine l’altro ragazzo dal cognome «compromesso» identificato con Ivanhoe e altri cinquanta giovani dopo la maxirissa nel locale di Carinaro. Il nipote di Nuvoletta, come i suoi cugini coetanei, è un incensurato, uno che, insomma, sembra lontano anni luce dalle carriere criminali di zii e nonno. Ed è lui, secondo la Dda di Napoli, che guida il pestaggio di cui è vittima Ivanhoe Schiavone. 
Cosa abbia innescato la maxirissa e l’aggressione al quartogenito di Sandokan è al momento un mistero, a meno che non si sia trattato, come nelle più classiche delle scazzottate da sabato sera, di un bicchiere di troppo o di uno sguardo alla ragazza sbagliata, di uno spintone casuale, insomma dei proverbiali «futili» motivi. Sta di fatto che, quando i carabinieri hanno identificato i cinquanta ragazzi coinvolti nel parapiglia, tra i cognomi sono spuntati Schiavone e Nuvoletta e, immediatamente, è scattato l’allarme. Perché, sin dagli anni Ottanta, tra i due gruppi criminali non corre buon sangue. I Casalesi si resero autonomi dalla camorra napoletana prendendo d’assalto il fortino del clan all’epoca tra i più potenti della Campania, peraltro «benedetto» da Cosa Nostra. Un commando armato riuscì a penetrare nella roccaforte di Poggiovallesana, a Marano, e uccise Ciro Nuvoletta. Un omicidio annoverato tra le tappe più significative della crescita dei Casalesi, da quel momento sotto il triumvirato di Francesco Schiavone Sandokan, Michele Zagaria e Antonio Iovine. Insomma, le reminiscenze di una malavita molto diversa da quella attuale incombono come uno spettro sulla notte di follia di Carinaro. Una settimana dopo, Ivanhoe è tornato in quel locale, sebbene tumefatto e zoppicante. Da quel momento, due inchieste cercano di far luce sulla vicenda e, soprattutto, di evitare l’innesco di una reazione a catena. Da un lato c’è il fascicolo della Dda di Napoli - pool diretto dall’aggiunto Luigi Frunzio, sostituti Vincenzo Ranieri e Fabrizio Vanorio - dall’altro un’inchiesta della procura di Napoli Nord, diretta da Francesco Greco. Delega ai carabinieri, si cerca di comprendere cosa è successo quella notte, nei giorni precedenti e successivi. Si lavora su un video che immortala le sequenze del pestaggio. E, nel mirino, sono finiti anche i colloqui tra i «rampolli» e i loro parenti detenuti. 
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