Antonio Pace della verace Pizza
«La biga? La usa Ben Hur»

Antonio Pace, presidente dell'Associazione Verace Pizza Napoletana
Antonio Pace, presidente dell'Associazione Verace Pizza Napoletana
di Santa Di Salvo
Domenica 5 Febbraio 2017, 13:15
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In sintesi: il canotto serve a galleggiare, ma se c'è uno tsunami serve a poco. Antonio Pace entra nella polemica sul nuovo corso della pizza con una riflessione pacata, a trentatré anni dalla nascita dell'Associazione Verace Pizza Napoletana da lui presieduta. Il suo gruppo, quello dei 17 apostoli (numero scaramantico), dettò le Tavole della Legge. Ma oggi qualcuno vuole cambiare i comandamenti
«L'unico documento ufficiale e riconosciuto dalla Ue è quello pubblicato nel 1997. Lo hanno scritto le famiglie che hanno fatto la storia della pizza, lo ha perfezionato la Federico II. Ma abbiamo aggiunto anche di non essere mai stati chiusi alle innovazioni tecniche. Purché non stravolgano l'identità. In buona sostanza: la pizza prevede variazioni che non siano in contrasto con il buon gusto e le regole della gastronomia».
E qui sta il punto: lievitazioni e impasti nuovi violano queste regole? La biga è una manipolazione consentita?
«La biga lasciamola a Ben Hur. Lo dico senza polemica, perché gli scontri non hanno mai fatto parte della nostra cultura. Questa presunta guerra tra pizzaioli di scuole diverse non esiste e molte cose si possono fare senza per forza gridare allo scandalo. A meno che questo non serva a fare audience e cassetta. Allora vai, scherzate pure! Se ci fate soldi, che Dio vi benedica!».
Dall'alto di questa saggezza mi riconoscerà pure, allora, che apriamo la strada a tutte le trasgressioni
«A tutte no. Ci vogliono le procedure corrette e una buona preparazione di base. Parlando di farcitura, una fetta di prosciutto non lede la napoletanità. Maionese e sottaceti, beh, comincerei a preoccuparmi. Comunque non dimentichiamo che Margherita e Marinara furono le due pizze registrate dall'associazione per necessità, essendo i due modelli principali della tradizione. Ma in antico la pizza era già su misura. Da ragazzino ricordo che al Ragno d'Oro, il locale di papà in piazza Medaglie d'Oro, arrivavano clienti con il pacchetto della salumeria o della pescheria. Salumi e formaggi, alici e cicinielli. Per favore, me li mettete sulla pizza? Perciò, di che scandalo stiamo parlando?».
E abbiamo liquidato la farcitura. Passiamo agli impasti.
«Anche qui, non mi pare una questione di sostanza. Il metodo classico prevede già tutto. Il vero maestro pizzaiolo lavora e allarga l'impasto come crede, è solo questione di moda e di gusto. Una volta il cornicione alto non era gradito. Le signore non lo mangiavano, lo riponevano a parte come un pane di scarto. La pizza da asporto ha sempre avuto il cornicione stretto, quella a tavola sempre più largo e soffice Una volta piaceva l'impasto più cordoso, oggi si cerca quello più setoso. Vi piace l'impasto idratato? Ok, anche i maestri di tutti, Vuolo, Coccia, Starita & C, a richiesta sanno fare i canottieri! Basta solo non esagerare. Tra un po' l'impasto sarà così liquido che si verserà direttamente dalla brocca!».
Tornando alla biga
«La biga è un pre-impasto, ma la lievitazione con metodo indiretto è tipica dei panettieri non dei pizzaioli. Inutile inventare la ruota se la ruota c'è già. Oggi abbiamo farine di altissima qualità, non c'è bisogno d'altro».
Così si contraddice, bocciando qualsiasi tipo di ricerca
«Al contrario, come associazione vogliamo solo evitare polemiche mediatiche gonfiate ad arte (visto che si parla di lievitazione). Per innovare bisogna essere preparati. Abbiamo lavorato in questi anni per far emergere nel mondo della ristorazione una figura prima negletta. Ci siamo riusciti. Oggi il pizzaiolo è una star e come tale sgomita un po'. Ma è venuto il momento per tutti di imparare anche ad essere cuochi, a capirne di più, per assemblare senza strafare e per trasformare rispettando la tradizione. Perciò l'Associazione Verace Pizza Napoletana ha deciso di istituire corsi di cucina per pizzaioli. Ai giovani dico solo di non esagerare. Si può morire anche di troppa creatività!».
 
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