Il Vesuvio buono nel Piennolo
il pomodoro che piace ai pizzaioli

Il Vesuvio buono nel Piennolo il pomodoro che piace ai pizzaioli
di Santa Di Salvo
Lunedì 23 Gennaio 2017, 00:28
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Da quando gli hanno tolto le virgolette ha raggiunto definitivamente il successo. Nessuno scrive più «piennolo», per tutti è il pomodorino del piennolo. Parola dialettale per definire questo oro del Vesuvio entrata a pieno diritto nella gastronomia ufficiale, grazie anche all'ottimo lavoro svolto negli ultimi tre/quattro anni dal Consorzio di tutela. Il piennolo del Parco Nazionale del Vesuvio oggi è una Dop che ne tutela il valore e lo difende dalle imitazioni. Per quello che può, perché naturalmente ci racconta il presidente Giovanni Marino per la promozione servono fondi e le disponibilità del Ministero si sono notevolmente assottigliate: «Oggi si spera nei nuovi fondi regionali per poter lavorare con finanziamenti adeguati. E il nuovo piano controlli dovrebbe garantire una difesa migliore dalle imitazioni».
Che sono tante. Perché il piennolo, patrimonio archeologico quasi dimenticato, è stato riscoperto dai migliori chef e dai maestri pizzaioli, da Sorbillo a Coccia, che ne stanno facendo una bandiera del nostro territorio. La coltivazione «sospesa» che consente una distribuzione uniforme dei raggi solari regala alle nostre tavole questo «oro rosso fresco» fino alla primavera seguente alla coltivazione. E i grandi grappoli raccolti tra luglio e agosto e appesi a un filo di canapa sono ormai una presenza esplosiva e solare, tipica del nostro paesaggio mediterraneo. «Sapere che oggi a Stoccolma apprezzano il piennolo è cosa che mi inorgoglisce molto» dice Marino, imprenditore agricolo nato in città e convertito alla campagna, titolare di Casa Barone, la più grande azienda biologica del Parco.
E siccome il successo di un prodotto si vede dal numero delle imitazioni, possiamo dire che il piennolo si piazza bene anche qui: «Proprio per il grande sviluppo del mercato conserviero capita di frequente l'uso illegittimo della denominazione, oltre poi alle frodi vere e proprie». Anche perché la commercializzazione del piennolo resta difficile per trasporti e logistica, data la delicatezza del prodotto.
Comunque il successo del piennolo è nei numeri. Sotto la tutela del Consorzio c'erano all'inizio 12 ettari, oggi siamo a 44, con una sessantina di agricoltori iscritti alla Dop. Uscito dal recinto regionale, il piennolo si è fatto strada rapidamente a livello nazionale e internazionale. Da perfetto sconosciuto, oggi è diventato un must sulle tavole migliori. Un must trasversale, che va dalla pizza d'autore al piatto di mare più sofisticato. Piace agli chef stellati (Paolo Gramaglia lo usa nel suo «polpo all'ombra del Vesuvio»), alle trattorie eccellenti (Mimmo De Gregorio dello Stuzzichino di Sant'Agata con i tagliolini neri con tartufi di mare), alle cucine popolari (come Le Zendraglie alla Pignasecca con la zuppa alla marescialla), ai pizzaioli eccellenti, da Vuolo a Ciro Salvo.
L'ampliamento delle superfici coltivate ha fatto sì che oggi il piennolo si trovi anche nei terreni vallivi, laddove i puristi scelgono le quote altimetriche dai 200 ai 500 metri. La rinascita della coltivazione significa anche il ritorno alla terra di una nuova generazione. «Con evidenti benefici ambientali conclude Marino Perchè il territorio vesuviano è molto delicato e dunque recuperare spazi all'agricoltura non ci restituisce solo un beneficio economico ma anche una importante ricaduta ambientale. E sta già contribuendo al rilancio di una nuova economia turistico-rurale».
 
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