Difeso dal penalista Carlo Di Casola, Madonna è stato chiaro: «È stato Mola a portarmi tredici schede da autenticare, la scrittura di quei modelli non mi appartiene. Io ho solo messo la firma». Versione respinta dal diretto interessato. Difeso dal penalista Bruno Von Arx, Mola non ha lasciato spazio a concessioni: «Non ho portato io quei modelli a Madonna, la sua ricostruzione è falsa». Dunque? Venerdì scorso il blitz nello studio di Mola, la finanza a caccia di alcuni documenti. Cosa cercavano? Puntavano ad agende, taccuini, insomma a qualsiasi appunto scritto da cui trarre esempi della «grafia» di Mola. Insomma, al di là del «saggio» lasciato dall'ex assessore comunale nel corso del suo interrogatorio, ci sono altri pezzi di carta che vanno analizzati. Ed è da questo primo spulcio che sta emergendo un'ipotesi da mettere a fuoco: le nove schede sarebbero state compilate da due mani diverse. Condizionale obbligatorio, dato lo stato iniziale dello screening, ci sarebbero due estensori dei modelli di accettazione alla candidatura risultati falsi.
Quanto basta a ragionare sugli atti, con l'obiettivo di tirare le somme a stretto giro.
Indagine condotta dal pm Stefania Buda, magistrato in forza al pool reati contro la pubblica amministrazione del procuratore aggiunto Alfonso D'Avino, si punta a verificare il reato di violazione della legge elettorale. Brogli, la pista del pm. Oggi tocca ai due parlamentari, anche per capire se ci sono altri nomi di supporter o militanti che in genere vengono usati per compilare le liste. Altro punto da mettere a fuoco riguarda invece la gestione delle banche dati. Stando a una impressione iniziale, sembra che i nove nomi di cittadini candidati e ignari di esserlo siano sbucati dalle banche dati usate dal partito nel corso della precedente campagna elettorale: sono cittadini presi random da sezioni elettorali di centro e periferia, mai impegnati in politica, ma «conosciuti» agli archivi informatici di una o più sezioni, di uno o più circoli del Pd.