Il Museo di Capodimonte arricchisce il suo patrimonio permanente con un'opera dal titolo «Genny», dedicata al ragazzo ucciso in piazza Sanità il 6 settembre 2015. Paolo La Motta, artista che vive e opera nella Sanità gli ha dedicato quattro ritratti e una scultura che sono stati presentati nell'ambito della mostra «Incontri sensibili: Paolo La Motta guarda Capodimonte». L'artista ha conosciuto Genny Cesarano sin da bambino, durante il laboratorio di ceramica presso l’istituto Papa Giovanni XXIII in via Cagnazzi nel rione Sanità. Il polittico composto da quattro dipinti e da un busto di terracotta, che gioca con la bidimensionalità e la tridimensionalità: cinque elementi come le cinque lettere riportate sul retro di ogni opera a comporre il nome di Genny. L'opera dialoga con cinque opere di Capodimonte realizzate con varie tecniche (pittura, disegno, fotografia, ceramica), appartenenti ad epoche diverse e accomunate dalla sacralità dell’infanzia: il Bambino Gesù, il busto di San Giovanni, i misteriosi fanciulli di Mancini e Solimena, l’impenetrabile ragazzo fotografato di spalle da Mimmo Jodice. Genny ha perso la vita durante una “stesa” in piazza Sanità all’età di diciassette anni, viene ucciso dalla Camorra, vittima innocente di scontro tra gruppi rivali. La Motta realizza sul luogo dell'omicidio, in piazza Sanità, la scultura in bronzo policromo a grandezza naturale di Genny, con un pallone incastrato tra le assi, «simbolo di un'infanzia negata».
La mostra «Incontri sensibili: Paolo La Motta guarda Capodimonte», a cura di Sylvain Bellenger, porta per la prima volta al museo l’opera dell'artista napoletano nell’ambito del ciclo Incontri sensibili, dialogo tra artisti contemporanei e collezione storica di Capodimonte. Dopo Bourgeois e Guarino (26 marzo – 17 giugno 2017) e Jan Fabre. Naturalia e Mirabilia (1 luglio – 7 gennaio 2017), il lavoro di Paolo La Motta si rapporta con alcune opere del museo, da lui scelte, sollecitando una inconsueta riflessione sull’arte, come storia della sensibilità, e consentendo di svelarne significati inaspettati.
L'artista racconta che da ragazzo, giocando nel Bosco di Capodimonte oltre l'orario di chiusura, ebbe paura di saltare il muro di cinta. Piace pensare che il giovane Paolo non sia mai davvero uscito dal Bosco di Capodimonte, e che le sue paure siano state vinte con la sua arte che nasce da un dialogo ininterrotto con le opere della grande collezione del museo. La sensibilità plastica delle sue opere non è prigioniera di una specifica scuola o di una sola epoca artistica: il Rinascimento, il Seicento, l'Ottocento napoletano e l'astrattismo, scoperti proprio nella Reggia borbonica, sono ben coniugati nei suoi dipinti. La Motta si interessa a tutte le possibilità del linguaggio pittorico e rende la sua opera prova inconfutabile del ruolo che il Museo di Capodimonte ha avuto e continua ad avere sull'arte contemporanea.
Il balcone dello studio di Paolo La Motta (Napoli, 1972) non offre altra vista se non quella di uno dei gialli e polverosi muri di tufo della Sanità.