D'Argenzio: «La ricerca è scientifica
ma per i dati serve tempo»

di ​Ettore Mautone
Sabato 18 Febbraio 2017, 23:47
4 Minuti di Lettura
Ricoveri e mortalità non bastano: la raccolta e l’analisi dei dati sui tumori, per essere attendibile deve affidarsi a dati più accurati. «Le rilevazioni sui tumori sono generate incrociando diverse fonti: anagrafiche comunali, schede di ricovero, esami clinici e istologici, esenzioni ticket, schede di morte, notizie dai medici curanti e dagli ospedali, per poi elaborarli per macroaree, per distretti, per comuni e per aree sub-comunali, comparandoli con altre aree di riferimento: è questa la traccia che seguono i registri tumori per venire a capo della mappa del rischio e per individuare eventuali sorgenti cancerogene nell’ambiente». Così Angelo D’Argenzio, medico, specialista igienista, responsabile del registro Tumori di Caserta che a metà 2016 ha certificato e presentato i primi dati disponibili relativi al biennio 2008-2010.

Dal 2010 sono passati sette anni, Napoli 1 e Napoli nord sono ancora al palo: come mai tanto ritardo?
«I registri tumori istituiti tre anni fa sono partiti da due anni. A Caserta, ma anche a Napoli 3 sud e Salerno, storicamente esistevano già attività di studio. Napoli 3 Sud, dove il collega Mario Fusco è stato pioniere, ha già dati disponibili al 2013. Noi stiamo lavorando il 2012. La raccolta, registrazione e lavorazione dei dati richiede un certo tempo. Il Santobono sta per diffondere i dati pediatrici sottoposti a certificazione scientifica. Anche le altre Asl sono in moto»
Sui tumori, a fronte del disastro ambientale nella Terra dei Fuochi, sono andati avanti molti studi dai risultati allarmanti: perché li contestate? 
«Ragionare su dati parziali, limitati alla sola mortalità e ai ricoveri, senza valutare la frequenza di malattia, non è un modo esaustivo per comprendere la realtà. Si riesce a lavorare su indicazioni di massima, a generare ipotesi, ma non si può risalire con precisione ad eventuali sorgenti di rischio».
Qual è la loro debolezza?
«I dati sui ricoveri nascono come dati di natura amministrativa, risentono di imprecisioni: se per una stessa neoplasia una persona si ricovera più volte e, tra un ricovero e l’altro c’è un errore nella trascrizione dei codici fiscale o di malattia, errori abbastanza frequenti, quel caso varrà 2 o 3 neoplasie diverse. Su numeri relativamente bassi questi errori, possono generare errori di interpretazione non banali. Se poi guardiamo alla mortalità, parliamo di un indicatore di esito, su cui agiscono molte variabili».
Quali?
«Bassa prevenzione, carenti diagnosi, qualità e tempestività delle cure. È necessario affidarsi ai dati sulla diffusione di malattia per poter mettere a confronto, in modo standardizzato, zone dove ci si ammala di più, in tal modo da evidenziare se l’area geografica è di per se già un fattore di rischio. Va analizzata, cioè, l’incidenza di malattia».
Come va fatta la raccolta dei dati?
«È un lavoro certosino. Bisogna approfondire, controllare, verificare paziente per paziente. La certezza è quasi sempre affidata ad un referto anatomopatologico. Solo per 1% ci si affida alle schede di morte. Bisogna ricostruire la storia clinica del paziente dalla A alla Z, verificare le cartelle cliniche. Da qui ricostruire abitudini di vita del paziente, se fuma, se sul lavoro è esposto a particolari inquinanti. Fa differenza se uno lavora in una tintoria o se lavora in ufficio».
E i ricoveri?
«Anche i registri dei ricoveri sono relativamente affidabili. Le Sdo (schede di dimissione ospedaliere), ripeto, sono atti amministrativi non epidemiologici».
Qual è la situazione che emerge a Caserta dai dati disponibili?
«C’è un picco d’incidenza di tumore al polmone e al fegato nei maschi e nella mammella nelle donne. Ma siamo oltre i dati medi rispetto al Sud non rispetto al Centro e Nord Italia. Quando avremo i dati degli altri registri provinciali potremo confrontarli e capire se il fenomeno è locale o regionale. La mortalità è costantemente più alta, specie negli uomini. Ma il picco del polmone si correla al picco regionale di fumo . Almeno una concausa che moltiplica altri fattori».
E per il tumore al fegato?
«Sappiamo che si correla alle epatiti croniche. In quest’area, prima dell’avvento della vaccinazione, c’era un’endemia per questa virosi. A distanza di anni se ne vedono gli effetti».
C’è chi vede in queste spiegazioni una minimizzazione dei veleni nell’ambiente legati a Terra dei fuochi...
«Nessuno nega che esiste un problema ambientale. Anche dai nostri dati l’incidenza dei tumori cresce e il vantaggio di un tempo legato alla natura prevalentemente agricola del tessuto produttivo del Sud rispetto al Nord, prevalentemente industriale, si è assottigliato. Bisogna intervenire stroncando queste fonti di grave inquinamento, bonificando i siti inquinati. La situazione è complessa. La sorgente inquinante non è puntiforme e le conclusioni non possono essere univoche. Serve la georeferenziazione, analisi con piccoli numeri, di cluster. Dobbiamo analizzare dati di incidenza insieme a quelli di mortalità. Indagare sui fattori di rischio».
Cosa pensa dei tanti casi di decessi di bambini registrati di recente a Nord di Napoli?
«Allarmi anche giustificati ma i numeri assoluti servono a poco. Si tratta di persone che si sono ammalati in diverse età, per diverse forme neoplastiche e poi deceduti, magari, tutti nello stesso mese. Bisogna comparare i dati, verificare le zone di residenza, identificare le sorgenti inquinanti. Ci sono patologie specifiche del primo anno di vita, leucemie, patologie neurologiche. Un medico sta attento prima di dare una diagnosi. Cosi si lavora anche in epidemiologia.
Come fare per accelerare i tempi?
«Potenziare i registri tumori e gli studi che ne deriveranno»

© RIPRODUZIONE RISERVATA