Damiano: «Sfideremo Matteo al congresso
lo strappo indebolisce il governo»

di Paolo Mainiero
Lunedì 20 Febbraio 2017, 22:49
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Cesare Damiano continua a sperare e a lavorare per l’unità del Pd. Ma intanto è impegnato a costruire un’alternativa a Renzi perchè, dice, «chi rimane non si iscrive al monocolore renziano».

La minoranza ha fatto sapere che non parteciperà alla direzione. La scissione è consumata?
«Naturalmente, non va abbandonata nessuna strada fino all’ultimo minuto utile. Voglio ricordare che dopo la costituzione della commissione per il congresso, se ci dovessero essere altre candidature alla segreteria sarà sempre possibile inserirvi propri riferimenti. Se si vuole arrivare a una soluzione, la si può ricercare. Ma ci vuole, ovviamente, la volontà politica, non è solo un problema di carattere tecnico».
Renzi ha fatto di tutto per evitare lo strappo? Dall’altra parte, la maggioranza ritiene che la minoranza avesse già deciso di rompere...
«Ho criticato la relazione di Renzi perchè tra tutti gli appelli che sono stati rivolti alla minoranza il suo è stato il più debole e il meno convinto. È stato un errore. Renzi deve convincersi che in un grande partito plurale come il Pd, il segretario è il perno di una ricostruzione e non uno dei poli della dialettica. Le responsabilità sono di tutti ma l’onere maggiore è di chi guida una comunità». La minoranza, dopo l’intervento di Emiliano, si aspettava che Renzi desse un segnale di apertura. Renzi invece ha rinunciato alla replica.
«Renzi si era dimesso e dunque non era più il segretario e non aveva diritto alla replica. Naturalmente, si possono utilizzare molte strade per dare un segnale, un incontro, un appuntamento, che non mi pare ci sia stato».
La data del congresso è solo un pretesto?
«Spero che la contesa non si riduca davvero a una discussione sulla data. In passato, e penso al passaggio dal Pci al Pds, la posta in gioco fu l’orizzonte del socialismo e immagino che anche in questo caso ci sia una battaglia di contenuti più che di questioni tattiche».
Il congresso non rischia di trasformarsi in una corsa affannosa alla scelta di un leader? «Abbiamo una responsabilità nei confronti del Paese e c’è la necessità politica di un pieno sostegno al governo Gentiloni, che dovrebbe arrivare a fine legislatura per risolvere alcune urgenze di carattere economico e sociale. Così come ritengo che sia necessario lavorare a una legge elettorale omogenea tra Camera e Senato con il più largo consenso possibile. Si poteva anticipare il congresso ma non farlo precipitare, si poteva prevedere la scadenza entro l’estate e farlo precedere da una conferenza programmatica, come richiesto da molte parti».
Ma la scissione, con la nascita di nuovi gruppi parlamentari, non rischia di indebolire il governo?
«La scissione è una violenta onda d’urto e le onde provocano conseguenze non prevedibili. La scossa tocca nel profondo il Pd ma tocca anche il governo e tocca l’intero assetto politico del Paese».
Con Cuperlo e Orlando sta costruendo una componente alternativa a Renzi?
«Con Cuperlo e Orlando e tanti altri ci siamo visti più volte per riflettere insieme, ma non abbiamo esaminato la possibilità di costituire una nuova corrente. Il vero tema è costruire dentro il Pd un campo di sinistra riformista e socialista».
Potrebbe esserci una candidatura di Orlando?
«Penso che sarebbe necessario arrivare a una candidatura unitaria che darebbe forza e forma alla sinistra nel Pd».
Una candidatura unitaria che recuperi Emiliano, Speranza e Rossi?
«Mi sembra che Emiliano, Speranza e Rossi abbiano scelto la strada della fuoriuscita dal Pd». Rossi ha detto che anche in caso di scissione in futuro potrebbe esserci una collaborazione con il Pd. Ma sarà possibile allearsi con chi sbatte la porta?
«Non sono un indovino... Politicamente sarebbe necessario che se si vuole ricostruire il centrosinistra ci fosse una ricomposizione delle forze a sinistra del Pd. Certo, il centrosinistra non si ricostruisce con i veti di chi dice che non vuole dialogare con Renzi. Qualsiasi veto di questa natura sarebbe inaccettabile. È la democrazia interna ai partiti che sceglie una leadership e non vi può essere una preclusione aprioristica».
C’è il nodo del doppio ruolo premier-segretario?
«C’è e penso che sia da superare».
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