Il quartiere di Genny: «Omertà? La paura non si batte
senza lavorare sulla sicurezza»

Il quartiere di Genny: «Omertà? La paura non si batte senza lavorare sulla sicurezza»
di Pietro Treccagnoli
Venerdì 20 Gennaio 2017, 23:33
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Dall’altra parte della piazza, con la facciata dell’imponente chiesa del Monacone di fronte, la statua di Genny Cesarano, in un angolo, accanto a una fioriera con l’ulivo, e con i soldati in mimetica a controllare il passaggio, si ha subito la sintesi del Rione Sanità oggi. Nel giorno dell’arresto dei killer dell’innocente diciassettenne, la fotografia rimane ancora questa, con tutti gli annessi e connessi, compresi quelli denunciati dal questore: la paura, l’omertà, la lotta per la sopravvivenza, la richiesta di sicurezza, la lenta rinascita, l’illegalità strisciante o palese e l’ombra mostruosa della lotta dei clan camorristici. Sui vetri dei negozi e dei bar è attaccato il manifesto del memorial per Genny, un torneo che si terrà nel campo sportivo «San Gennaro dei Poveri» e vedrà sfidarsi squadre provenienti dai diversi quartieri di Napoli (e provincia), dal Vomero a Ponticelli, dalla stessa Sanità a Scampia, dai Decumani fino al Parco Verde di Caivano. Proviamo anche con il calcio, non si sa mai. 

Bastasse un tiro a un pallone, però. Invece, come in chimica, è necessario, ma non sufficiente. Lo si capisce parlando, domandando, ascoltando chi s’impegna quotidianamente, confrontarsi con chi amministra, con chi lavora in strada, chi vede o non vede, chi s’interroga e non ha risposte o forse se le tiene per sé, tanto non cambiano mai. Se si ammazza o non sia ammazza, se si arresta o se non si arresta. Il tempo passa lento alla Sanità. Il popolo si è messo in cammino, come annuncia già dal nome, l’associazione di religiosi e laici. Ma la strada è lunga e tortuosa, come percorsi che si perdono tra pennate e vicoli, tra slarghi e fondaci, tra palazzi settecenteschi e chiese barocche.

La Sanità ha due facce come il dio Giano. La MalaSanità e la Sanità che cerca dentro se stessa gli anticorpi per guarire. Però continua a essere diffidente. C’è la soddisfazione per una storia tremenda che trova il suo epilogo. E si parte da lì, come fa Salvatore Oliva che ha la pizzeria proprio nella piazza: «Devono dare cento anni di galera a chi ha ucciso un ragazzo. La morte di un innocente sta facendo cambiare il rione, non c’è più il silenzio di prima». Ma poi si sbatte contro le reticenze dei giovani testimoni di quella notte maledetta. Allora i discorsi acquistano più sfumature, quelle che sa riconoscere e adoperare dialetticamente il presidente della Municipalità, Ivo Poggiani, con un passato (e un presente) movimentista. «Alla Sanità si spara ancora» spiega. «I vecchi clan si sono spappolati e adesso c’è la contesa per l’egemonia criminale. Ma è cominciata una lotta per contrastare la camorra, chiara, anche a viso aperto». E quindi? «Quindi buttare la croce addosso ai cittadini, ai ragazzi che quella notte erano in piazza, che non collaborano, significa non comprendere come si vive in certi quartieri. Magari i giovani non hanno visto bene e non si vogliono esporre. Gli stessi genitori ci vanno cauti. Mi chiedo: perché i cittadini dovrebbero denunciare dopo che la questura e la magistratura impiegano un anno e mezzo a individuare i colpevole, quando il controllo del territorio è debole, quando dal governo non arrivano risorse per combattere la camorra?». E poi rilancia: «L’invito è sempre e comunque a denunciare. Io l’ho fatto, ma starei attento a puntare il dito in modo lapidario».

Le voci della strada sono divise tra soddisfazione e inquietudine. Gaetano ha un banchetto poco lontano dal pub e non fatica ad ammettere che la gente tiene due piedi in una scarpa. «Ho tre figli piccoli» commenta «e ho paura a farli scendere. Come me tanti altri genitori. L’arresto degli assassini di Genny fa piacere, ma non significa che non si spari più. Anzi». E allarga l’orizzonte: «Eppure se alla Sanità funzionassero la sorveglianza, i trasporti, la pulizia, cambierebbe tutto. Abbiamo monumenti, chiese, palazzi, pizzerie per attirare i turisti, ma continuano a venirne sempre pochi». Pasquale Calemme della Fondazione San Gennaro, molto attiva nella promozione culturale, resta ottimista «perché c’è molto fermento ed è cresciuta la sensibilità». Dal suo osservatorio, l’anno e mezzo dalla morte di Genny non è passato invano: «Si è creata una forte vicinanza tra le istituzioni municipali e i movimenti, ma soprattutto si sta lavorando alla riqualificazione ambientale. La paura e il silenzio si combattono con la sicurezza, con la fiducia». Non è materia che si smercia con frequenza in un rione che fa i conti ogni giorno con la tenaglia dei clan. «Ci siamo messi in cammino, però» inietta positività Felicetta Parisi, medico in pensione e stretta collaboratrice di padre Alex Zanotelli. «Qualcosa sta cambiando, anche se il cammino resta lungo. Non si può ottenere tutto subito, sarebbe presuntuoso». Quel che serve si sa. È un disco suonato in ogni occasione, nei giorni pari e nei giorni dispari: «Genny lo conoscevo, lo vedevo in piazza come continuo a vedere altri ragazzi che qui passano il tempo. Come si può cambiare? Con l’istruzione, la scuola. Servono maestri che scendano in strada. Vanno messi su degli oratori. Ma soprattutto il lavoro, il lavoro è la priorità assoluta. Soltanto così si dà fiducia a chi tace per terrore, per indifferenza o per sconforto». Sono i tre spettri che continuano ad aggirarsi di giorno e di notte per le strade della Sanità, con le stese e oltre le stese. Sono vecchi fantasmi, incubi che si trasmettono da padre a figlio. E questi non finiscono in manette.
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