Il confronto che serve nel percorso delle riforme

di Tommaso Frosini
Venerdì 12 Aprile 2024, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Talvolta basta un emendamento per mettere ordine nella legislazione. Figuriamoci nella Costituzione. È quanto sta accadendo in commissione Affari costituzionali del Senato, dove nei giorni scorsi è stato approvato un emendamento, presentato dall’opposizione, che definisce meglio e, in maniera più coerente, i poteri del presidente del consiglio eletto direttamente. Nel confronto parlamentare, finora, sono stati presentati diversi emendamenti, che hanno avuto la stessa sorte.

Come quelli del senatore Pera, che hanno previsto la sottrazione della controfirma in alcuni atti del presidente della Repubblica, anche con l’intento di salvaguardarne ruolo e funzioni. Così pure gli emendamenti approvati, che hanno eliminato un preciso riferimento al sistema elettorale in Costituzione, ovvero che hanno semplificato la procedura di eventuale sostituzione del premier.

A dimostrazione che una riforma costituzionale non può nascere perfetta, ma diventa perfettibile nella sede dove viene discussa e approvata, cioè il parlamento. Non ci sono testi “blindati”, sia pure provenienti dal governo. Ci sono, piuttosto, progetti che hanno un loro chiaro obiettivo, come nello specifico l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, ma che si modellano e si plasmano nel corso del dibattimento parlamentare, e quindi nel confronto fra la maggioranza e l’opposizione. Questo è il giusto metodo per fare le riforme costituzionali. Che potrebbe portare all’approvazione del premierato in parlamento, con la maggioranza qualificata, ed evitare così il referendum. Occorre, pertanto, sapere acquisire consenso tra i parlamentari di opposizione, che siano privi di pregiudizi e consapevoli dell’importanza della riforma per la governabilità del paese.

Certo, se l’obiezione è all’elezione diretta, allora non ci può essere dialogo e condivisione di scelte e di voti.

L’emendamento presentato da Alleanza Verdi/Sinistra è semplice ma dirimente. Elimina la parola “volontarie” nell’ipotesi delle dimissioni del premier, a seguito di un voto di sfiducia (soluzione che avevo proposto su questo giornale il 4 febbraio). In questo caso, infatti, le dimissioni diventano obbligatorie. E il premier può chiedere e ottenere lo scioglimento anticipato delle Camere per andare al voto. Si razionalizza così un passaggio costituzionale significativo, coerente con quanto avviene nelle altre democrazie europee (Gran Bretagna e Germania). Il potere di sciogliere il parlamento diventa una prerogativa del capo del governo, sebbene decretata, senza controfirma, dal presidente della Repubblica. 

Perché è importante questa nuova previsione costituzionale? Perché riconduce il sistema alle sue basi fondative, che sono quelle dove si poggia la sovranità popolare. La quale, per essere esercitata secondo i limiti e i (nuovi) modi stabiliti dalla Costituzione, deve essere sempre rispettata. Se il popolo sovrano ha eletto il presidente del consiglio, questi deve tornare alla fonte della sua legittimazione, e cioè il voto dei cittadini, anziché consentire trasformismi parlamentari e ribaltoni governativi, che mortificherebbero l’elettorato. E che finirebbero con il perpetuare le due regole che hanno dominato la vicenda costituzionale italiana: la prima affermava che la sovranità appartiene al popolo, la seconda che il titolare non deve esercitarla mai. Una inaccettabile violazione dell’articolo 1 della Costituzione. 

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