L’avvocato ladro per la maglia della «mano di Dio»

di Marco Ciriello
Giovedì 19 Gennaio 2017, 23:20
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 Il collezionista si divide tra malato e investitore: il primo è disposto a tutto, il secondo solo a quello che ha un grande ritorno. Era del primo tipo l’avvocato colto a rubare la maglia di Diego Maradona all’hotel Vesuvio; scoperto, si è giustificato: è «‘na malatia», ma non citava Peppino di Capri. La sua malattia era il calciatore argentino e di conseguenza tutto quello che gli è appartenuto, a cominciare dalla maglietta indossata durante Argentina-Inghilterra nel 1986 a Città del Mexico. La sua malattia era il calciatore argentino e di conseguenza tutto quello che gli è appartenuto, a cominciare dalla maglietta indossata durante Argentina-Inghilterra nel 1986 a Città del Mexico. Parliamo della partita del gol con «la mano de Dios» e di quello più bello del secolo.

Quella maglia è davvero una reliquia, vale 150 mila euro, ed ha una storia non solo per la partita, tra le più importanti del calcio, ma perché è una maglietta improvvisata. Tutto cominciò per un sorteggio sfavorevole, al mondiale messicano la Selecciòn giocava sempre alle 12 o alle 16, e Le Coq Sportif sapendo delle condizioni climatiche aveva lavorato a una maglietta con un tessuto in microfibra per migliorare la traspirazione dei calciatori, ma applicando l’innovazione solo alla divisa titolare, quella a strisce celesti e bianche. Tanto che quando con l’Uruguay la nazionale Argentina gioca con la divisa blu: la differenza salta agli occhi, le magliette sono di cotone grosso, hanno lo scollo a giro stretto e soffocante e col sudore diventato corazze pesanti.

L’allenatore Bilardo, davanti alla sofferenza dei suoi calciatori giura che non giocheranno mai più con quella maglia, ma al turno successivo gli inglesi appaiono come locali e l’Argentina dovrà rigiocare alle 12 messicane e con la seconda maglia. A 72 ore dalla partita il magazziniere tuttofare Rubén Moschella vive la sua giornata da Indiana Jones, cercando una maglia più leggera, tornerà con due campioni in semplice cotone e con scollo a V. Parte la consultazione da Bilardo a Maradona che risponde: «Ma che bella maglietta! Con questa camiseta battiamo gli inglesi!». Moschella riesce e compra 38 maglie come quella scelta, una per tempo, per i 19 calciatori.

Manca lo stemma dell’Afa, da cucire, e bisogna fissare i numeri, per ora assenti. Un disegnatore del club América della capitale messicana disegna uno stemma dell’Afa che si avvicina all’originale – senza i tradizionali rami d’alloro – il resto lo fanno sarte argentine e messicane disponibili, i numeri sono per delle maglie da football americano e per questo più grandi, e con sfumature argentate, anche una zampa del gallo di Le Coq Sportif va oltre il contorno, ma questi son dettagli per collezionisti, infatti di quelle maglie – taroccate – ne girano moltissime tanto che potrebbero essere comparate alle mani di Juan Domingo Perón che giravano per l’Argentina, reliquie macabre.

Maradona da mito vivente è oggetto di culto, dai capelli alle scarpe, un’altra sua maglia, quella del Boca Juniors dell’81-82 di quando ci giocava lui, è stata votata dal magazine francese «So Foot» la più bella di sempre, e immaginatevi il romanzo per averla. Nella pratica si può arrivare anche a una asta da Christie’s a Londra per avere la maglia di José Altafini di Santos-Napoli del 1968 come racconta Giuseppe Montanino, o trovare un baule in una casa posillipina pieno di magliette degli anni ’40 come gli fa eco Dino Alinei. I due sono i fondatori di «Momenti azzurri», in bacheca hanno 1200 maglie del Napoli, di cui 40 di Diego Maradona. Dal ’56, da quando erano ragazzini, collezionano tutto quello che riguarda il calcio e il Napoli: dalle maglie agli abbonamenti. «Ci sono molti modi per avere le maglie oltre a rivolgersi agli stessi calciatori che spesso le donano: dirigenti, procuratori, allenatori, amici, e soprattutto calciatori avversari».

Il dettaglio richiede pazienza e ambizione, ricerca e «malattia d’amore» come cantava anni fa Donatello. La rarità delle maglie invece si declina al singolare, come raccontano Montanino e Alinei: «può essere rara anche l’ultima maglia di Ezequiel Lavezzi col Napoli in campionato o Coppa Italia, o quella di Luis Vinicio, dipende, oppure una tipologia di maglia degli anni ’60 non più usata, raro è anche avere tutte quelle di una partita». O, come nel caso di Gabriele Schillaci ne basta una sola. Panettiere di Palermo, che da nove anni sogna di coprire tutte le annate della sua squadra a partite dalla sua prima volta allo stadio nel 1995, ma oltre la squadra di Zamparini, ne ha moltissime di Roberto Baggio, ed è riuscito da poco a comprarne una di Maradona, campionato 88-89, sponsor «Mars» pagandola a rate. Nessuno parla di soldi, quasi che quantificare economicamente potesse smentire la passione della caccia.

Sul web sono moltissimi i blog con foto e storie delle squadre collezionate, un mucchio di ragazzi ha questa passione, e su E-Bay ci si può fare una idea: una maglietta di Franco Baresi usata solo 5 volte nel campionato 1991-92 costa 1350 euro; un Ciccio Graziani in Nazionale ’76 costa 2000 euro; un Dybala – con schizzi di fango – da Juventus-Bologna costa 1680 euro; ce ne sono anche due di Maradona da 2000 euro a 5000 per l’anno del primo scudetto del Napoli.
Il calcio è una delle religioni del mondo: ha bisogno di feticci, messi in fila convincono che la felicità rimane attaccata, sia trasmissibile, al punto che il solo possesso ne restituisca la gioia. C’è chi gioca e chi ruba, e tutti estendono quello che era l’album delle figurine: per non far morire il bambino che li abita.
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