La Spagna torna alle urne
con l’incognita Podemos

di Lucio Sessa
Sabato 25 Giugno 2016, 23:34
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 Oggi la Spagna riprova a darsi un governo, dopo che le elezioni dello scorso 20 dicembre non hanno prodotto una maggioranza parlamentare. Dopo anni di bipolarismo, i due partiti tradizionali, il Partido Popular e il Psoe, alle ultime elezioni hanno ottenuto, rispettivamente, il 28 e il 22 per cento dei voti, non arrivando quindi al cinquanta per cento. Questi due partiti, alle elezioni del 2008, avevano messo insieme l’ottanta per cento dei consensi. Non è casuale la data, perché proprio nel 2008 è esplosa la crisi spagnola, con la bolla immobiliare e la crisi bancaria, che ha posto fine all’esperienza del governo socialista di Zapatero, che tante speranza aveva suscitato.

Qualcosa si è inceppato in quello che veniva definito il “miracolo spagnolo”, la straordinaria modernizzazione di un Paese che all’inizio degli anni Ottanta provava faticosamente a recuperare il tempo perduto, dopo oltre 35 anni di dittatura franchista. I treni spagnoli erano i più lenti d’Europa, si fumava ancora sugli autobus, per strada gli odori predominanti erano quello delle sigarette ducados (una sorta di “gitane” ancora più “lumpen”) e di un tipo di acqua di colonia popolare di larghissimo consumo.

Ma la fase di transizione alla democrazia funzionò, l’economia si rimise in marcia, il turismo conobbe uno sviluppo senza precedenti, e l’alta velocità ferroviaria arrivò molto prima che in Italia. Insomma, la nave sembrava andare, ma certe contraddizioni strutturali non erano state risolte, si procedeva a strappi, con alcune regioni dinamiche e altre che faticavano a tenere il passo. La corruzione del ceto politico era sussurrata, entrava nell’inevitabile lamento quotidiano, nel luogo comune che accompagnava le giornate, ma le cose sembrano comunque procedere verso il meglio. Finché non è arrivato il 2008, in cui i nodi sono venuti al pettine, la crisi è esplosa, la disoccupazione ha ripreso a crescere in modo allarmante, si è dovuti procedere a un taglio dello stipendio dei dipendenti pubblici che in alcuni casi è arrivato al venti per cento, e l’euforia cede il passo al malcontento, la disoccupazione giovanile s’impenna, insieme all’apatia.

Si comincia a parlare, in senso spregiativo, di generazione “nini”, ossia una generazione che “ni estudia, ni trabaja”, cioè “né studia, né lavora”. Ma il 15 maggio del 2011 accade qualcosa di inatteso. La generazione “nini” scende in piazza, e una quarantina di giovani si accampano in pieno centro a Madrid, alla Puerta del Sol, per protestare contro l’immobilismo della politica spagnola (tutta chiusa nel bipolarismo di cui s’è detto), contro la corruzione, la disoccupazione, la mancanza di opportunità. Da quel giorno, si tengono dibattiti pubblici, la tendopoli cresce, si aggiungono altri strati di popolazione, si va avanti per giorni e giorni, nel massimo rispetto del decoro urbano e della civiltà.

Lascerei la parola a uno dei protagonisti: “Il 15 maggio è quello di cui c’era bisogno e che nessuno si aspettava, quello che tutti volevano che accadesse: un’esplosione di partecipazione che sembrava non potesse mai accadere: avevamo i tassi più alti di disoccupazione, pessime condizioni lavorative, e tuttavia tutti si lamentavano sul divano di casa o davanti al bar. All’improvviso tutto questo cambia”. Da questo movimento, da questa lezione impartita alla società spagnola da parte della disprezzata generazione “nini”, nascerà, nel 2014, la nuova formazione politica di Podemos, il cui leader è Pablo Iglesias.

Alle ultime elezioni, “Podemos” ha superato il 20 per cento dei consensi, e negli ultimi mesi ha accentuato la sua collocazione di sinistra, stringendo alleanza con “Izquierda Unida”, e dando vita alla formazione “Unidos Podemos”. L’altra formazione nata negli ultimi anni, “Ciudadanos”, ha invece un carattere moderato e neo-liberista. Ma perché non c’è stata un’alleanza tra i due partiti dello schieramento di centro, ossia Partido Popular e Ciudadanos? Perché la campagna di Ciudadanos è stata tutta incentrata sulla corruzione del partito di Rajoy, e perché, evidentemente, si disputano lo stesso elettorato, quello di centro-destra. Per lo stesso motivo, non c’è stato accordo tra socialisti e Podemos, anche se stavolta l’orto da disputarsi era quello formato dall’elettorato di sinistra. Sono Podemos e Ciudadanos due forze anti-sistema?

Diciamo che sono nate per spezzare il trentennale bipolarismo, e finora ci sono riuscite, ma a prezzo dell’ingovernabilità. E se dalle urne di domani uscissero gli stessi numeri di dicembre che cosa potrebbe accadere? Appare difficile un’alleanza tra i due partiti di centro-destra, per i motivi già detti, come tra i due di centro-sinistra, profondamente divisi, tra l’altro, sulla “questione catalana”. Si potrebbe ipotizzare una sorta di grande coalizione tra i due avversari di sempre, il Partido Popular e il Psoe, ma la scelta risulterebbe impopolare, verrebbe percepita come un arroccarsi della “casta”.

E non si potrebbe neanche invocare lo spettro del Brexit, perché Ciudadanos non è una formazione euro-scettica, e Podemos ha sì una posizione critica verso l’Europa, ma non anti-europeista.
La sua proposta politica in tema europeo è la ristrutturazione del debito pubblico, e se Pablo Iglesias dovesse vincere le elezioni potrebbe, chissà, nascere un asse con la politica di Renzi. Altri punti forti del programma di “Podemos Unidos” sono una maggiore attenzione alle politiche sociali e l’introduzione del salario minimo. I più recenti sondaggi non dànno nessun partito oltre la soglia del 30 per cento, e il rischio di una perdurante ingovernabilità aleggia sulla Spagna.
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