La svolta della Linea 6 dopo anni d’immobilismo

di Piero Sorrentino
Domenica 5 Maggio 2024, 23:00 - Ultimo agg. 6 Maggio, 06:00
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«Circoletto rosso», dicevano Gianni Clerici e Rino Tommasi nel corso dei loro memorabili commenti di tennis alla televisione. Era un’espressione che stava a indicare un punto notevole, un colpo da maestro, l’esecuzione di un rovescio da sottolineare per la sua maestria tecnica. Anche le città hanno giorni da circoletti rossi. E quello del prossimo primo luglio, qui a Napoli, andrà evidenziato sul calendario proprio con un bel tratto vermiglio. Perché sarà il giorno dell’inaugurazione di qualcosa che, per decenni, è stata più un luogo della memoria che uno spazio concreto della città. In effetti alla possibilità che la Linea 6 potesse, un giorno, diventare realtà aveva continuato a crederci un gruppetto sparso e indefinito di napoletani. Alla stragrande maggioranza dei cittadini, invece, quel nome faceva affiorare tutt’al più un sorriso di scherno o tenerezza. Dire «Linea 6» era ormai come dire Atlantide, o Area 51, o il Triangolo delle Bermude. Luoghi mitologici, favoleggiati, immaginati che nutrono l’immaginario ma che nessuno ha mai visto. Era il tempo dei Mondiali in Italia, le notti magiche dentro l’allora stadio san Paolo. A quel tempo si chiamava Ltr, linea tranviaria rapida. Aprì e chiuse in un batter d’occhio, quasi nessuno ebbe il tempo di accorgersi che c’era.

Nel ’97, con il nuovo Piano comunale dei trasporti, a Palazzo san Giacomo approvarono la trasformazione del progetto in metropolitana leggera. Ci riprovarono all’inizio del nuovo millennio, nel 2002, e fu un altro fallimento. Dieci anni dopo la stessa cosa.

Nel marzo del 2013, poi, il crollo di un’ala di Palazzo Guevara di Bovino alla riviera di Chiaia in uno dei cantieri della linea assomigliò a una sorta di suggello inquietante di quel percorso che aveva assunto tutti i tratti dell’immobilismo e dell’inconcludenza che a Napoli sono così amaramente diffusi. È per questo che quel foglietto sul calendario cittadino andrà valorizzato e salutato con gioia. Perché le città vivono di simboli, e il primo luglio sarà una data fortemente simbolica dopo tanta attesa e tormento.

Soprattutto in una realtà urbana affamata di trasporti efficienti e garantiti. Dove muoversi da est a ovest è sempre stato un problema gigantesco, in cui quartieri vicini per prossimità geografica erano scollegati e faticosi da raggiungere senza dover ricorrere, ancora una volta e come al solito, all’auto privata.

Chissà se l’annuncio dell’inaugurazione sia capitato per caso in coincidenza con la giornata di oggi in cui il costo del biglietto della metropolitana sale a un euro e mezzo. Ma va bene così, non importa. Non c’è cittadina o cittadino intelligente che non sia pronto a pagare di più, a patto però di ricevere un servizio adeguato e in linea con quello che accade nelle altre grandi città d’Europa. Da questo punto di vista, l’interconnessione con la linea 1 della metropolitana apre a un ventaglio molto grande di opportunità, soprattutto in vista dei successivi passaggi come l’apertura delle stazioni dei Tribunali e del Centro direzionale o come l’annuncio della possibilità, entro un paio di anni, di raggiungere con il trasporto urbano su ferro anche l’aeroporto di Capodichino. Con la speranza che ad Anm non dimentichino di dare forza, parallelamente, anche al comatoso trasporto su gomma, l’altro luogo oscuro della mobilità cittadina.

Come che sia, questa della Linea 6 è una svolta importante che ha il sapore di una storiella zen, di quelle che ammaestrano e ammoniscono: affinché un paradiso si rovesci in un inferno non è necessaria la malvagità. È sufficiente il vizio del tirare a campare, del chiudere un occhio, del far sì che una mano lavi l’altra. Dello starsene fermi e buoni in un angolo. Dell’attendere pazienti che ci si abitui a qualcosa, perché tanto prima o poi ci si abitua a tutto. Dalla cronica anemia di Napoli – scambiata da qualcuno con il peso di un destino ineluttabile – si può venir fuori, ogni tanto e quando si vuole veramente. 

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