Penati: «Ero innocente ma fui abbandonato
stavolta il partito non ceda alla gogna»

di Francesco Lo Dico
Mercoledì 4 Maggio 2016, 00:19
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«A suo tempo il Pd mi cancellò in fretta e furia. Ma è sbagliato cedere alla gogna invocata dalla pubblica piazza. È ora che la politica si riprenda il suo primato, e stabilisca regole certe contro i furori di chi strumentalizza le inchieste». Filippo Penati ha il tono disteso di chi ha vinto la propria battaglia dopo anni di affanno. L’ex presidente della provincia di Milano fu assolto alla fine dell’anno scorso dalle accuse di corruzione che gli piovvero addosso sulla gestione dell’ex Area Falck di Sesto San Giovanni. Tre anni di processi culminati in un’assoluzione, che però hanno posto fine alla sua carriera politica.

A pochi giorni dal caso Caserta, un’altra tegola giudiziaria si è abbattuta sul Pd. Al Nazareno è suonato il campanello d’allarme?

«Ci vuole sempre cautela nell’esprimere valutazioni sull’onda di notizie frammentarie. In primo luogo occorre chiedersi, per esempio, per quale ragione un sindaco abbia proceduto a turbare il regolare svolgimento di un’asta, se ciò non abbia poi implicato per lui un qualche ritorno maturato all’interno di una cornice corruttiva. Della questione si occuperanno i magistrati, naturalmente. Ma ciò che davvero inquieta, nella vicenda di Lodi, è la tendenza sempre più netta ad attribuire a un avviso di garanzia lo stesso peso schiacciante di una sentenza di colpevolezza. Un’equiparazione dannosa ed incongrua, che ho subito sulla mia pelle. Fui definito dai pm un «delinquente patentato». Salvo dimostrare poi, dopo tre anni di processi e assalti mediatici, che ero innocente».

Al netto di questa deriva giustizialista, c’è davvero una questione morale che investe il Nazareno, come si sono affrettati a gridare leghisti e grillini?

«Esprimere giudizi su Lodi sarebbe ingiusto e immotivato. Se invece si estende lo sguardo al Paese in generale, è possibile affermare che la questione morale esiste, ma non riguarda soltanto il Pd perché coinvolge l’intera classe politica. Anche i democratici, come le altre forze politiche, hanno un problema di selezione della classe dirigente. Ma nel caso del Nazareno, incide un perdurante conformismo che dal Pd bersaniano, a quello renziano, è andato via via crescendo. Non si poteva pensare di liquidare un’intera classe dirigente con lo slogan della rottamazione, sostituendola con una improvvisata».

I problemi del Pd hanno a che fare con il ricambio renziano?

«Insieme a molti sinceri sostenitori della linea politica dell’attuale segretario, si sono insinuati nei territori piccoli ras che si sono nascosti sotto il paravento della rottamazione soltanto per fare i loro interessi particolari».

È anche per questo che il Pd ha assunto un atteggiamento ambivalente di fronte alle inchieste della magistratura, durato fino al recente contrattacco di Renzi?

«Aver evocato la primazia della politica è stata una presa di posizione meritevole. Ma alle rivendicazioni devono seguire i fatti».

Il Pd rischia di lasciare il pallino a quanti agitano indiscriminati processi di piazza?

«È uno spunto di riflessione utile al Pd ma anche a quanti pensano di cavalcare le inchieste nella speranza che i magistrati abbattano la classe dirigente avversaria, come fanno i pentastellati. Non basta sentirsi diversi. Lo credeva anche il Pds di Occhetto al tempo di Tangentopoli. Ma poi si ritrovò al governo Berlusconi».

Chiede insomma al Pd di assumere una linea di condotta univoca che sappia conciliare responsabilità politica e garanzie?

«Fui espulso dal partito dopo 45 giorni dall’avviso di garanzia e dopo aver risposto per otto ore alle domande dei magistrati. Anche se mi autosospesi per tempo, nel settembre del 2011 fui cancellato dall’anagrafe degli iscritti. Non fu così che andò in altri casi. Le regole sono rimaste piuttosto ballerine. Quando chi mi doveva giudicare decretò la mia innocenza, nessuno pensò mai di reintegrarmi».

Come impedire che si verifichino altri casi Penati?

«Se la politica è troppo debole, asseconda la furia cieca giustizialista o i regolamenti di conti tra partiti. Ieri, tramite me, si volle colpire Bersani. Oggi sarebbe altrettanto meschino, se qualcuno si servisse della storia di Lodi per colpire Guerini».

Come se ne esce?

«Per ridurre le storture, occorrerebbe un nuovo codice etico. È vero, bisogna distinguere tra accusa e accusa. Penso che fino al rinvio a giudizio, sia giusto consentire a chi ha un incarico politico di continuare a svolgere il proprio compito. E che questa misura debba valere per tutti, fino a quando si sia deciso di sottoporre le ipotesi accusatorie all’esame del dibattimento».

Lei ha subito quattro anni di indagini e tre anni e mezzo di processi, per vedere riconosciuta la sua innocenza. Che cosa non funziona nella giustizia?

«Ho capito che anche i magistrati dovrebbero pagare per i loro errori, proprio come tutti gli altri.
E non essere promossi, come accaduto al procuratore che mi ha accusato ingiustamente. Ho imparato poi che il problema non è in chi pubblica le intercettazioni, ma nelle Procure che le fanno filtrare per creare consensi intorno alle loro inchieste. E ho imparato anche che c’è un profondo squilibrio nell’opinione pubblica: chi accusa domina la piazza, chi si difende è invisibile perché non fa notizia. Le carriere dei magistrati andrebbero separate, non c’è dubbio. Succede spesso che tra te e la forca ci sia soltanto la speranza di un bravo giudice insensibile alle grida. Io l’ho trovato. Ma questo dovrebbe valere per tutti».
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