Il Pd e l’idea di Paese oltre la gabbia delle alleanze

di ​Mauro Calise
Lunedì 8 Aprile 2024, 00:00
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Bisogna dare atto ad Elly Schlein di avercela messa tutta. Il progetto del campo largo era contro buona parte del suo partito e, soprattutto, contro il Dna dei Cinquestelle. Ma, al tempo stesso, era l’unica strada per provare a essere competitivi con il centrodestra. Ora che è andato in frantumi, l’unico campo largo – anzi larghissimo – resta quello della maggioranza al governo. Però in politica – si sa – mai dire mai. Gli eventi degli ultimi giorni hanno chiarito che ci sono dei limiti che l’alleanza tra Pd e Cinquestelle non può superare. 

E, al tempo stesso, che restano delle opportunità che continueranno ad alimentare occasioni anche importanti di convergenza. Il limite riguarda il piano strategico. Il Pd, fin dai tempi dell’Ulivo, ha coltivato il progetto di un ampio rassemblement di centrosinistra. La parentesi veltroniana – che Renzi ha cercato di resuscitare – è stata intensa ma breve. La cosiddetta vocazione maggioritaria, alla prova dei numeri, si è rivelata un’utopia. E Schlein ne ha preso lucidamente atto. Cozzando però, nella ricerca di un alleato, contro un partito che – da sempre – ha sostenuto una visione opposta, la logica delle mani libere. All’inizio, puri e soli alla meta. Poi, alleanze usa e getta, con repentini giri di valzer. Diventati ancor più frenetici con la guida di Giuseppe Conte.

In questo comportamento, si può vedere una buona dose di opportunismo. Ma riflette la natura originaria dei grillini, nati come movimento di protesta populista, trasversale alle tradizionali distinzioni tra destra e sinistra. E non si vede perché Conte, posizionandosi in maniera netta al fianco del Pd, avrebbe dovuto rinunciare alla possibilità di pescare in tutte le direzioni. Altra cosa sono le alleanze regionali e comunali, dove a dettare la scelta sono le dinamiche locali, i rapporti tra le correnti e la disponibilità di candidati capaci di fare da collante. Come è successo in Sardegna, e continuerà ad accadere in altri casi. Ma senza che, per questo, si possa parlare di un progetto comune nazionale.

Per Schlein, prendere atto di questo doppio binario è complicato sul piano simbolico, della comunicazione e del posizionamento interno, che in politica hanno un peso notevole. Ma, al tempo stesso, ha un vantaggio. Consente di non disperdere energie su un obiettivo che – almeno al momento – si è dimostrato impraticabile, e investirle per dare più risalto alla propria idea del paese, e di leadership. Avere libertà di manovra dovrebbe giovarle nell’immediato, con le elezioni europee alle porte, dove ogni partito corre per sé e il Pd ha tutto da guadagnare a svincolarsi dalle ambiguità dei grillini. Ma, soprattutto, dovrebbe consentire alla giovane segretaria del Pd di mettere alla prova se stessa senza perdersi nei meandri – e nelle trappole – della politica politicante quotidiana.
In questo, dovrebbe esserle d’aiuto l’esempio di Giorgia Meloni.

Nessuno, dieci anni fa, avrebbe scommesso sul suo successo.

Era semplicemente impensabile che i rapporti di forza nel centrodestra potessero stravolgersi a favore di un partitino del 3 per cento, esautorando due corazzate storiche del sistema politico italiano come la Lega e Forza Italia. La vera forza di Meloni è stata quella di farsi trovare al posto giusto al momento giusto.

La lunga marcia intrapresa per spianarsi una strada tutta in salita si è certo molto giovata delle doti di personalità e di carattere della fondatrice di Fratelli d’Italia. Ma il fattore decisivo è stata la trasformazione – comune a tutti i sistemi occidentali – della democrazia rappresentativa in democrazia della leadership. Un cambiamento in cui pesano molto meno le componenti storiche del potere, come la forza dei partiti e il consenso dell’establishment, e molto più la dinamica imprevedibile di come la congiuntura globale incrocia la volatilità elettorale. Ai tempi di Machiavelli, si sarebbe chiamata fortuna. Oggi, è ciò che rimane della grande visione – e illusione – democratica. In un mondo che gravita nel vortice di pandemie, guerre e rivoluzioni tecnologiche l’unico – fragile – baluardo sono i leader con il loro carisma, capace ancora di incantare le masse. Quale leader – e come – vincerà, non è una partita che si gioca al tavolo delle alleanze tra partiti. 

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