Quelle bare in piazza un monito terribile da dimenticare

di Nando Santonastaso
Giovedì 25 Aprile 2024, 23:00 - Ultimo agg. 26 Aprile, 06:01
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Le bare di Napoli parlano. Interrogano le coscienze, gridano il dolore e l'incredulità per morti troppo spesso assurde, inaccettabili, evitabili. Parlano molto più e meglio di tante parole, delle frasi fatte che accompagnano la solidarietà di facciata, delle voci di rassegnata indignazione che non mancano mai, ad ogni livello. Le bare di cartone della Uil, una per ogni uomo o donna vittima del lavoro o sul lavoro, sono soprattutto uno choc. E meno male. Rimandano la memoria alle stragi degli immigrati annegati nel Mediterraneo, ai morti per Covid di Bergamo, alle famiglie travolte dai terremoti, dalle frane, dalle alluvioni. Le bare allineate scolpite nei nostri occhi raccontano di un Paese fragile, ferito al di là dei suoi limiti e delle sue responsabilità, nel quale persino il lavoro può trasformarsi ogni giorno in una trappola mortale, in una potenziale tragedia. Esci di casa al mattino e non sai se vi farai ritorno dieci o dodici ore dopo.

Si fa fatica ad accettare tutto questo come il prezzo da pagare alla crescita economica, ai ritmi della globalizzazione o, peggio ancora, alle scoperte più invasive della scienza e della tecnologia. «Il mondo del lavoro è una priorità umana. Ogni morte sul lavoro è una sconfitta per l'intera società. Più che contarli al termine di ogni anno, dovremmo ricordare i loro nomi, perché sono persone e non numeri», ha detto Papa Francesco incontrando i sindacati qualche tempo fa. Un monito rivolto a imprese e rappresentanti dei lavoratori, un richiamo esplicito al dovere di remare tutti dalla stessa parte perché da soli non se ne uscirà. Non possono bastare dieci o venti vittime in meno da un anno all’altro per raccontare una realtà che migliora strutturalmente. Né illuderci, al tempo stesso, che la svolta possa avvenire in tempi brevi, come peraltro sarebbe auspicabile.

Il percorso della normalità, come spesso capita a questo Paese, si annuncia lungo e tortuoso anche in questo caso. E‘ giusto, ad esempio, puntare sulla prevenzione, oggi peraltro irrobustita da strumenti di assoluta capacità anche sul fronte della sicurezza. Ma è altrettanto necessario sostenere le imprese che devono investire in questa direzione, perché solo così sarà più che sacrosanto imporre sanzioni pesanti a chi non rispetta vecchie e nuove norme, macchiando di sangue il proprio profitto. E a nessuno sfugge che una tale sinergia tra pubblico e privato riguarda soprattutto le piccole e medie imprese, il tessuto connettivo del nostro sistema produttivo, e non solo quelle della filiera delle costruzioni. E’ qui il vero banco di prova, è qui che l’emergenza è ormai di casa.

Proprio per questo, le 500 bare di Napoli impongono anche ai più distratti una profonda riflessione sulla cultura del lavoro nel suo complesso, soprattutto al Sud, l’area geografica nella quale gli occupati sono ancora distanti 20 punti percentuali dalla media europea e del Nord e i tassi di precarietà restano altissimi. In un Paese con scarsa produttività e con competenze ancora non adeguate alle fortissime transizioni in atto, il rischio che le parti in causa si arrocchino nei loro steccati è forte. L’Italia dello scaricabarile, per essere espliciti, non è ma andata in pensione. Solo che morire di lavoro o sul lavoro non è più l’eccezione, l’imprevisto al quale dedicare qualche minuto di silenzio prima che la giostra riparta. È una mutilazione della civiltà e del progresso di fronte alla quale non ci possono essere attenuanti. Per nessuno. E per sempre.

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