Ucciso per errore: nessun colpevole ma è inaccettabile

di Leandro Del Gaudio
Martedì 9 Febbraio 2016, 23:55
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Alla fine è stato condannato solo un pentito, un ex tossico che avrebbe fatto da «specchiettista», con la telefonata convenzionale per avvisare i killer. Alla fine - parliamo del processo d’appello - è stato condannato solo Giovanni Gallo che, per l’omicidio di un onesto lavoratore e padre di famiglia, si porta a casa una condanna a dodici anni, con tutti i benefici del suo status di pentito, sentenza da scontare semmai in località protetta. Alla fine, non passa la tesi della Procura (ribadita in aula dalla Procura generale) e il presunto mandante del delitto di un meccanico - parliamo di Vincenzo Liguori (padre della cronista di giudiziaria del Mattino Mary) - viene scagionato: per lui, per Vincenzo Troia, c’è l’assoluzione in appello. 
Cade l’ergastolo rimediato in primo grado, mentre non c’è notizia di indagini sui presunti esecutori materiali che esplosero colpi all’impazzata, all’esterno di un circoletto ricreativo a San Giorgio a Cremano, colpendo per errore anche un meccanico della vicina officina.

Troppo poco per chiudere un caso, troppo poco per parlare di giustizia, si avverte l’esigenza di un’inchiesta in grado di trovare e circoscrivere la responsabilità dei veri colpevoli di un doppio delitto consumato la sera del 13 gennaio del 2011: quello della vittima designata del raid, vale a dire Luigi Formicola, e quello del meccanico estraneo alla camorra e alle sue logiche di morte. Chiedono giustizia enti e associazioni che si sono costituiti parte civile, tutta la comunità napoletana rimasta scossa per l’ennesimo tributo di sangue sofferto da una persona onesta e, soprattutto, i parenti di Vincenzo Liguori. Chiede in cuor suo giustizia soprattutto la collega Mary Liguori, cui toccò il peggiore dei servizi di nera la sera di cinque anni fa, quando - da corrispondente dell’area vesuviana - si mise al lavoro sulla più atroce delle notizie: quella della morte del padre, della persona che le ha lasciato l’esempio di dedizione al lavoro e alla famiglia. Ma torniamo al processo e al verdetto espresso ieri pomeriggio dalla quarta assise appello, presidente Domenico Zeuli: difeso dai penalisti Enzo Maiello e Leopoldo Perone, Troia era stato condannato all’ergastolo in primo grado, sull’onda d’urto delle dichiarazioni di Gallo e sulla scorta di alcune intercettazioni telefoniche raccolte subito dopo il delitto. Un racconto con alcune contraddizioni, secondo quanto indicato dalla difesa (che in aula ha ribadito piena vicinanza alle famiglie delle vittime), tra sfasamenti di orari in cui è stata consumata la missione di morte e altri punti che hanno fatto ieri vacillare l’ergastolo firmato dalla terza corte di assise di Napoli. Anche le intercettazioni telefoniche sono state decisive nella valutazione dei giudici, parole che alludevano al ruolo di primo piano di Troia proprio dopo il delitto di Formicola e del malcapitato Liguori. Di sicuro, quel pomeriggio a San Giorgio ci fu un regolamento di conti, in una sorta di scissione interna al clan Abate, famiglia storicamente radicata nel comune vesuviano. Di sicuro, almeno a voler credere alle parole del pentito, nel mirino c’era Formicola, «reo» - dicevano le indagini della Dda di Napoli - di non aver ostacolato una denuncia per estorsione a carico degli emergenti del clan. Di sicuro - diciamo noi oggi - le indagini sulla morte di Vincenzo Liguori non possono fermarsi qui, con la condanna di un ex tossico pentito usato come specchiettista creduto solo in parte dai giudici di appello. 

 
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