Record di ricerche/Se la star di Google diventa Pokemon Go

di Alessandro Perissinotto
Giovedì 15 Dicembre 2016, 00:23
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È passato molto tempo da quando Trilussa si chiedeva cosa fosse la statistica. 
Sono cambiati i metodi matematici e le fonti dei dati. Oggi si lavora con i Big Data, analizzando i miliardi e miliardi di informazioni che i sistemi telematici raccolgono ogni giorno, ma, se usata male, la statistica è sempre quella cosa per la quale, se tu sei povero in canna e non puoi mangiare nulla e il tuo vicino si mangia due polli, alla fine risulta che avete mangiato un pollo a testa, anche se il tuo stomaco non se n’è accorto. Quello che è successo ieri, non appena Google ha reso pubbliche le classifiche delle parole più ricercate in rete nel 2016, dimostra proprio quanto una divulgazione e una classificazione molto sommaria e semplicistica dei Big Data possa fornire una visione fuorviante della realtà.

Su quei dati ci siamo tuffati con la voglia, infantile e selvaggia al tempo stesso, di scoprire qualche stranezza e, ancor più, qualche follia; e naturalmente l’abbiamo trovata: “Pokemon Go” è la chiave di ricerca più richiesta nell’Italia del 2016. E allora, la prima cosa che ci viene in mente è che siamo un popolo di superficiali e di eterni bambinoni, ma è davvero così? Forse sì, ma non sono le ricerche su Google la cartina di tornasole di questo fenomeno. Una così massiccia presenza di “Pokemon Go” è stupefacente e anche un po’ disdicevole solo se si ritiene, sbagliando, che le classifiche dei motori di ricerca forniscano il ritratto della parte adulta del Paese, ma ovviamente non è così; il dato ci viene fornito in forma aggregata e non diviso per fasce d’età (Google riesce a conoscere l’età di chi effettua la ricerca solo se questi prima effettua il login al proprio account, cosa che non sempre avviene), dunque, se l’immagine che emerge è quella di un Paese infantile è anche perché, in effetti, ci sono milioni di bambini che usano internet ed è abbastanza ovvio che cerchino “Pokemon Go” e non “Brexit” o “Referendum costituzionale”: il solito pollo di Trilussa. Ed è probabilmente per la massiccia presenza di ragazzini in rete che, nella categoria “Come fare”, compaiono “Come fare il gelato al caffè in casa”, “Come fare lo slime” e “Come fare un’assonometria” (eterno incubo delle lezioni di disegno alle medie); il fatto che, al secondo posto, ci sia “Come fare un massaggio erotico” smonta un po’ la mia analisi sulla presenza di ragazzini, o forse no (e, in ogni caso, voi adulti, quando vedete il vostro o la vostra partner armeggiare al computer, non fatevi illusioni, starà cercando come si prepara il gelato al caffè).

Nella categoria “Personaggi”, troviamo, tra i primi 10, David Bowie, Bud Spencer e Prince; l’anno scorso c’erano Pino Daniele e Laura Antonelli: con un po’ di cinismo potremmo dire che i morti vanno forte, ma anche qui non si tratta di un’anomalia, giacché questo sistema è più adatto a mettere in luce i picchi di richieste che non i normali trend e i picchi di interesse spesso si concentrano, ahimè, in coincidenza della morte. L’autentica anomalia in questa categoria è la presenza di Alda Merini in nona posizione, ad appena cinque lunghezze da Gonzalo Higuain e un gradino sopra Patty Pravo: cosa ci faccia una poetessa in un raggruppamento che vede 5 cantanti, un calciatore, due attori e un uomo politico è un vero mistero.
E, a proposito di uomini politici, un comunicato Ansa di ieri nota, un po’ scandalizzato, che «Scorrendo la lista delle parole emergenti più cercate dagli italiani su Google, si scopre la totale assenza di politica nostrana». La colpa di tanta indifferenza per la politica è dei cittadini, dei politici o, ancora una volta, del modo in cui sono organizzati i dati? La risposta giusta è la numero 3. Se si consultano le classifiche Google relative ad altri Paesi, si nota che le categorie entro le quali sono classificati i risultati sono completamente diverse da quelle adottate dal colosso di Mountain View per il nostro Paese. Nelle classifiche francesi (https://www.google.it/trends/yis/2016/FR) ad esempio, esiste la categoria “Les personnalités politiques” e la categoria “Acteurs”, ma non quella generica di “Personaggi” e così, magicamente, la politica in Francia trova la rilevanza che, almeno secondo le statistiche del pollo, in Italia non ha. Categorie molto diverse anche per le graduatorie britanniche (https://www.google.it/trends/yis/2016/GB), dove, ad esempio, si fa la differenza tra “Famous men” e “Famous women”, mentre in Italia, avendo riassunto tutto in un’unica voce, gli uomini battono le donne 7 a 3.

Cosa dunque possiamo ricavare dalle clamorose rivelazioni di Google? Assolutamente nulla o, più precisamente, tutto e il contrario di tutto, perché i dati da soli non parlano, i dati cominciano a dirci qualche cosa quando vengono organizzati e messi in relazione con le molteplici variabili che li hanno generati, e questa organizzazione dev’essere scientifica, rigorosa e uniforme per tutti i paesi, altrimenti i dati non sono nulla più che un gossip maldestro o, peggio, sono falsificazione, post-verità, manipolazione.

E la manipolazione più grande è quella di farci credere che i Big Data siano uno specchio fedele di ciò che noi siamo.
Non se Feuerbach avesse ragione quando affermava che «Noi siamo quello che mangiamo» e non credo che colpisca nel segno chi continua a ripetere che »Noi siamo quello che consumiamo», ma sono certo che si sbagliano tutti quelli che cercano di convincerci che «Noi siamo quello che cerchiamo in rete». Si sbagliano quelli che, su questo assunto, formulano teorie economiche e ancor più si sbagliano quelli che, sullo stesso assunto, pensano di poter fondare una nuova politica e una nuova democrazia: su queste basi, la democrazia della rete rischia di essere una dittatura della superficialità e dell’ignoranza, perché noi, come persone e come cittadini, siamo molto di più di quanto la nostra presenza in rete dimostri, e per fortuna!

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