El Chapo Guzman estradato dal Messico negli Stati Uniti

Joaquin Guzman El Chapo al momento dell'estradizione negli Usa
Joaquin Guzman El Chapo al momento dell'estradizione negli Usa
di Paola Del Vecchio
Venerdì 20 Gennaio 2017, 12:58 - Ultimo agg. 16:45
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Madrid. Si è materializzato il suo peggiore incubo: essere processato negli Stati Uniti. Joaquin Guzman Loera, El Chapo, il signore della droga capo del potente cartello di Sinaloa del narcotraffico, è stato estradato ieri dal Messico agli Stati Uniti, dove lo aspettano 6 processi in almeno tre tribunali e giurisdizioni. E’ stato l’ultimo atto dell’amministrazione Obama prima del cambio di guardia con il neo presidente statunitense Donald Trump. Per il governo di Peña Nieto, un sollievo liberarsi del detenuto numero 3192, al vertice di un impero criminale, già evaso due volte da carceri di massima sicurezza messicane. Il via libera all’estradizione, dopo il rigetto dei vari ricorsi degli avvocati di El Chapo contro la consegna giustizia nordamericana.

Un elicottero lo ha trasferito ieri sera dal penitenziario di Ciudad Juarez, alla frontiera messicana di El Paso con il Texas, all’aeroporto internazionale per imbarcarlo in un volo con destinazione New York, dove Juaquin Guzman è sbarcato all’alba. In territorio usa il 60enne Padrino dei narcotrafficanti rischia grosso, ma non la pena di morte. Almeno, stando a quanto assicurato dal ministero degli esteri messicano dopo il semaforo verde all’estradizione, che sigilla il buon clima di cooperazione nelle relazioni bilaterali con l’amministrazione Obama, destinato a cambiare con l’odierno insediamento di Trump alla Casa Bianca. Una consegna interpretata da molti analisti come  atto di buona volontà nei riguardi del neopresidente americano, che ha ribadito la determinazione ad innalzare il muro anti-immigrati al confine col Messico. “Quello che il governo di Peña Nieto sta dicendo al signor Trump è di non dimenticare che ci sono problemi di sicurezza nazionale di interesse comune sui quali deve esserci un’intesa, che è necessario lavorare gomito a gomito, con molta cautela e rispetto, soprattutto quando la sicurezza nazionale è associata al crimine organizzato”, ha spiegato l’analista messicano Federico Berrueto in dichiarazioni all’agenzia Efe. "Il narcotraffico non è solo una questione di droga, armi, violenza ma anche di terrorismo, dei gruppi che possono usare i cartelli del narcotraffico per penetrare negli Stati Uniti", osserva Berrueto.

El Chapo Guzman fu rinchiuso l’8 gennaio del 2016 nel carcere dell’Altiplano, nello stato centrale del Messico, dopo l’arresto a La Mochis, a Sinaloa, il suo territorio d’origine, all’indomani dell’intervista in clandestinità con l’attore Sean Penn, all’origine della sua cattura. A tradirlo, l’infatuazione per un’attrice di telenovelas, Kate del Castillo, che lo convinse a chiamare Penn per discutere un film sulla sua vita. Il narcotrafficante finì in manette, sei mesi dopo la clamorosa fuga nel luglio 2015 dalla stessa prigione, attraverso un tunnel sotterraneo di 15 chilometri che sfociava nella doccia della sua cella. Era stata la sua seconda, spettacolare evasione. La prima risaliva al gennaio 2001, quando si dileguò in un furgoncino della lavanderia dal carcere dov’era rimasto rinchiuso per 7 anni, dopo l’arresto in Guatemala. Nel frattempo, la sua inarrestabile ascesa è diventata leggenda, cresciuta di pari passo con la sua holding criminale che controlla il 30% di tutta la droga importata negli Stati Uniti, costruita sul sangue delle 70mila vittime della guerra con gli altri cartelli messicani. Ma anche dei suoi familiari caduti, fra i quali Edgar, uno dei suoi 9 figli, ucciso nel suo feudo di Culiacan, a Sinaloa.

Nel maggio scorso, El Chapo era stato trasferito senza preavviso nel penitenziario di Ciudad Juarez, per la decisione del governo messicano di rafforzare le misure di massima sicurezza della detenzione del superboss, in attesa dell’estradizione. Da allora la sua famiglia, la terza giovane moglie, Emma Coronel, ex regina di bellezza, aveva intrapreso una crociata per mantenerlo in Messico. A ottobre si era presentata davanti alla Commissione Interamericana di Diritti Umani a Washington, per denunciare i maltrattamenti di cui era vittima il marito: “Ha i nervi a pezzi, soffre di depressioni, è costretto 24 ore su 24 a restare con la luce accesa”.  A dicembre aveva presentato un nuovo ricorso perché El Chapo - che nella sua inarrestabile ascesa ha potuto contare su complicità di forze di polizia, politici e magistrati - ottenesse una seconda coperta per proteggersi dal freddo gelido in cella.

Figlio di una famiglia di contadini, con il padre coltivatore d’oppio, Guzman controlla il traffico di cocaina da Colombia, Perù e Bolivia, e acquista eroina in Afghanistan, per dirottarle verso il fiorente mercato degli Stati Uniti, dove ora dovrà far fronte a numerose incriminazioni. Una corte della California lo accusa di traffico di cocaina, mentre un’altra in Texas gli imputa, oltre al traffico, anche i reati di organizzazione criminale, associazione per delinquere, riciclaggio di capitali, omicidio e detenzione di armi. Resta sotto custodia delle autorità nordamericane, mentre molti in Messico cominciano a tremare nell’eventualità che il Padrino, con la prospettiva di passare il resto della sua vita in carcere, possa trasformarsi in una gola profonda.
 
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