Quindi, ha confermato che tutto il personale in servizio presso la sede non è stato coinvolto dall'attacco e sta bene. Appena undici giorni fa l'ambasciatore Giuseppe Perrone aveva presentato le credenziali al governo di unità nazionale libico, riaprendo la sede diplomatica, la prima di un Paese occidentale.
Tale scelta, compiuta per marcare il carattere strategico delle relazioni italo-libiche, aveva scatenato le proteste di Tobruk, il governo de facto dell'est del Paese ostile a Tripoli, che aveva parlato di «nuova occupazione» italiana. Il possibile attentato contro la nostra sede, quindi, potrebbe suonare come un primo avvertimento all'Italia. In una città, Tripoli, dove peraltro nei giorni scorsi si era registrato anche un tentativo di golpe degli islamisti fedeli a Khalifa Ghwell, l'ex premier del dissolto governo di salvezza nazionale. In questo scenario, intanto, il Cairo oggi ha ospitato la decima riunione ministeriale dei sei paesi confinanti con la Libia, che hanno concordato una dichiarazione in cui mettono in guardia da qualsiasi soluzione «militare» della crisi libica. Egitto, Tunisia, Algeria, Sudan, Niger e Ciad si sono appellati alle controparti libiche affinché proseguano nella via del «dialogo politico in stallo da oltre un anno e creino un governo di vera unità nazionale che stavolta tenga meglio conto della fazione arroccata a Tobruk attorno al generale Khalifa Haftar. In questo quadro, la dichiarazione dei sei sembra esortare proprio a risolvere la questione-Haftar quando chiede al Consiglio presidenziale di Sarraj di formare »un governo di accordo nazionale che rappresenti tutti i poteri politici libici«, in modo che la Camera dei rappresentanti insediata a Tobruk possa concedergli la fiducia.