La Corte dei Conti/ Inps in rosso non spaventa ma ora punti sui giovani

di Oscar Giannino
Giovedì 16 Febbraio 2017, 00:05
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Niente paura. Ma insieme molto da cambiare. In queste due frasi si può sintetizzare la situazione dell’Inps fotografata nello stesso giorno dal rendiconto della Corte dei Conti sul bilancio 2015, e del rapporto annuale di Itinerari Previdenziali, ormai punto di riferimento obbligato per chi voglia costi e sostenibilità non solo delle pensioni e dell’assistenza, ma dell’intero welfare del nostro Paese.

Cerchiamo di sintetizzare in pillole alcuni punti ipersemplificati, visto che tra conto economico, patrimoniale e gestione finanziaria le tecnicalità sono complesse e insidiose, data la foresta di normative e gestioni diverse che nell’Inps si sommano.

Primo: niente paura. Sì, nel 2015 l’Inps ha chiuso con un risultato economico negativo di 16,3 miliardi di euro, per via di 13 miliardi di accantonamenti per crediti contributivi ormai a rischio di inesigibilità. E il conto patrimoniale piange anch’esso: da 21,8 miliardi di attivo del 2012 è sceso in picchiata a un rosso di -5,8 miliardi nel 2015. E nel 2016 entrerà per la prima volta in territorio negativo, registrando -1,7 miliardi. Nel 2017, secondo il bilancio previsionale Inps, peggiorerà ancora, fino a -7,8 miliardi. Ma come opportunamente ricordato dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, sulle pensioni c’è una garanzia di Stato. Di conseguenza, potete stare tranquilli. Anche se non significa che non si debba correre ai ripari.

Secondo: ma come si rimedia al deficit? La prima via è di far crescere ulteriormente il contributo annuale che all’Inps viene dalla fiscalità generale cioè dalle tasse, che nel 2015 è stato di 103 miliardi e rotti, 5 miliardi più che nel 2014. Senza di essi, l’istituto non avrebbe potuto sobbarcarsi a 307 miliardi di prestazioni erogate, di cui 217 in pensioni e il resto nelle diverse forme di assistenza, a fronte di 191 miliardi di contributi previdenziali raccolti.
Terzo: ma non è iniquo, aumentare ulteriormente l’esborso aggiuntivo da tasse, oltre a quello delle aliquote contributive? La risposta a questa domanda è “dipende”. Per i sindacati e molti osservatori- assertori della tesi “il sistema è in equilibrio” - no, non è iniquo. Perché attraverso scomposizioni del totale della spesa Inps che vi risparmiamo perché non basterebbe una pagina, sostengono in realtà che lo squilibrio viene tutto dall’assistenza, non dalle pensioni di anzianità e vecchiaia che sarebbero anzi in lieve avanzo, tra contributi raccolti annuali e prestazioni erogate nello stesso anno (ricordate che è questa l’unica cosa che conta, il nostro sistema in lenta transizione tra principio retributivo e contributivo è rimasto però a ripartizione: non funziona affatto come molti credono, pensando che il proprio assegno previdenziale sia effetto del totale dei propri contributi versati; sono i contributi annuali raccolti da chi lavora a pagare i trattamenti in pagamento nello stesso periodo).

Quarto: perché altri sostengono che è iniquo? Non solo e non tanto perché dire che pensioni pure e contributi sono in pareggio è una forzatura contabile, visto che chi propone questo calcolo include nell’assistenza anche 18 miliardi di sgravi contributivi che assistenza non sono affatto. Si aggiunga il fatto, sostanziale, per il quale il 52% del totale delle imposte italiane sul reddito delle persone fisiche è pagato dal solo 11% del totale degli oltre 60,8 milioni di italiani: si capisce al volo che è un’iniquità. Infine, perché in realtà sappiamo benissimo da anni da dove viene il più dello sbilancio economico e patrimoniale dell’Inps. Ad aver spinto a fondo i conti dal 2012 è stata l‘incorporazione dell’Inpdap, cioè dei pensionati pubblici. Nel solo 2015 la gestione dei dipendenti pubblici ha registrato un passivo di 28,9 miliardi rispetto a 26,8 nel 2014. Viene poi il fondo ex Ferrovie dello Stato con perdite di 4,2 miliardi nel 2015, la Gestione Coltivatori Diretti con -3,1 e il Fondo Trasporti con un miliardo di squilibrio. Le gestioni in attivo sono solo 3 nel recinto Inps, e il più dell’attivo, che va a coprire almeno in parte la voragine dei pensionati pubblici, viene dal fondo dei parasubordinati: in attivo nel 2015 per oltre 7 miliardi.

Ma vi pare accettabile, che lo scalino più basso delle garanzie e della piramide dei redditi italiani, quello appunto dei parasubordinati, debba rifondere ogni anno almeno in parte i buchi delle pensioni pubbliche? È ovvio che no: bisognerebbe dunque alzare l’aliquota contributiva a carico del lavoro pubblico fino al pareggio del deficit annuale. Ma su questo, chissà perché, lo Stato non ci sente, quello stesso Stato che per decenni in realtà non ha neanche fatto finta di versarli davvero, i contributi dovuti per la pensione dei suoi dipendenti.

Quinto: lo squilibrio vero che deve preoccuparci. Abbiamo una spesa sociale, sommando tutte le componenti dalla sanità alla previdenza all’assistenza, tra le più elevate in Europa: è pari nel 2015 a 447,3 miliardi cioè al 54% del totale della spesa pubblica. Ma spendiamo troppo più degli altri Paesi europei in pensioni: sommando vecchiaia e superstiti il 17,2% del Pil nel 2015 rispetto al 13% nell’euroarea. Mentre spendiamo il 50% per cento in meno rispetto alla media europea per la famiglia: solo l’1,2% del Pil. E quasi zero per la casa, rispetto allo 0,6% di Pil annuo nella Ue.

Il nostro è non solo un welfare a debito, con 7 punti di Pil l’anno per l’Inps a carico di pochissimi contribuenti. Ma è soprattutto un welfare troppo spostato a favore degli anziani e avarissimo coi giovani: il che aggrava anno dopo anno il nostro deficit demografico e di produttività.

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