Carlo Calenda aveva deciso: no all’accordo con il Pd, e andiamo in modalità terzo polo insieme a Renzi e Più Europa. Poi però, la situazione si è ingarbugliata, dopo una giornata in cui tutto faceva pensare alla rottura tra Celenda e Letta, con il leader di Azione che ha bombardato Di Maio, Fratoianni, i Verdi e qualsiasi alleato dei dem o di sinistra e anti-sviluppista e anti-draghiano o ex M5S come Di Maio a cui il leader di Azione rimprovera tutto e di più con una raffica di tweet contundenti: «E’ quello dei gilet gialli e della richiesta di impeachment a Mattarella». Tutto risolto dunque, tanto è vero che Renzi già esultava per la nascita del terzo polo? Macché. Calenda si chiude in una dimensione irraggiungibile, i suoi non riescono a parlarci e lui fa solo trapelare che «sono tormento e sto pensando che cosa fare».
Sa bene che rompere con il Pd significa regalare tutti o quasi i collegi uninominali alla destra e la disfatta del centrosinistra gli verrebbe rinfacciata per sempre.
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IL TESTO
Dunque, rompe Carletto? A sera arriva l’appello di Letta: «Calenda non lo fare, non regaliamo l’Italia a questa destra». Inoltre, Più Europa suopi alleati gli chiedono delucidazioni e comincia una riunione con loro: Bonino e compagnia vogliono fare alleanza con il Pd, e dicono a Calenda di non rompeere assolutamente. Lui è davvero combattuto. A lungo fa perdere le sue tracce, e dopo cena si capisce che sta scrivendo una lettera a Letta. Che è una sorta di ultimo appello he rinvia le decisione di oggi: ovvero, caro Enrico, non candidare nei collegi uninominali i Fratoianni, i Di Maio, i Bonelli, non costringerci a votarli e falli presentare nel proporzionale con i loro partiti. Calenda chiede altro tempo per decidere. Lamenta che le condizioni chieste a Letta non hanno avuto risposta. e Letta dalla festa dell’Unità di Reggio Emilio a sera: «Il tempo passa, ormai c’è poco tempo davanti. Non credo sia stato sbagliato in questi giorni discutere e prenderci qualche giorno di tempo per ragionare e riflettere».
La lettera di Calenda a Letta dice questo: «Siamo convinti di un accordo Azione-Più Europa con il Pd per fermare la destra. Però su due punti dovete darci risposte. Quelli che non vogliono l’Agenda Draghi non possiamo votarli, e quindi candidateli nel proporzionale e non nei collegi uninominali. E punto numero due: caro Enrico, ci sono tanti elementi che ci accomunano, come il salario minimo e i temi dei diritti. Ma vogliamo risposte da te, chiare e vincolanti, sulle infrastrutture energetiche, sulla revisione (non abolizione) del reddito di cittadinanza, sulle politiche fiscali e sul bilancio. Sui questi argomenti occorre trovare punti di compatibilità». Ovvero, la sinistra anti-sviluppista non la vogliamo e se tu la vuoi non saremo con te. Ma evviva i rigassificatori, gli inceneritori, e noi non staremo mai con chi non li vuole.
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Dunque il dialogo resta aperto ma la soluzione ancora non c’è. E il terzo polo che ieri pomeriggio pareva già nato («Noi ci siamo», ha detto Renzi), poi è svanito ma forse tornerà. Il polo dei né-né - non con i sovranisti Meloni e Salvini e neppure con la sinistra para-grillina - si farà all’insegna dell’abbraccio Calenda-Renzi ma per ora non è detto che si farà, anche se Matteo sembra ottimista e allo stesso tempo prepara le due liste. Superando il 3 per cento, spera di avere 12 parlamentari. I sicuri eletti da listino Italia Viva sarebbero oltre a Renzi (schierato in Campania dove Italia Viva alle amministrative ha avuto il record dell’8 per cento ma anche in altre 4 circoscrizioni a fare da traino), Maria Elena Boschi (in Val d’Aosta), Luigi Marattin (contro Di Maio, ovunque si candiderà Di Maio e al grido molto renziano: «Noi siamo la competenza e loro la cialtroneria»), Ernesto Carbone (Emilia), Rosato (Friuli), Migliore (Campania), Bellanova (Puglia), Faraone (Sicilia), Bonifazi (Toscana), Nobili (a Roma), Scalfarotto (in Lombardia), la Bonetti (in Veneto) e il tesoriere Del Barba (in Valtellina). Oggi altra puntata, e stessa telenovela: Calenda va con Letta oppure no?