Braccio di ferro sulle elezioni
tensione Renzi-Mattarella

Braccio di ferro sulle elezioni tensione Renzi-Mattarella
di ​Marco Conti
Mercoledì 7 Dicembre 2016, 08:16 - Ultimo agg. 10:32
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ROMA Giornata di scatoloni a palazzo Chigi, ma Matteo Renzi chiamerà il camion per il trasloco solo quando avrà chiaro il percorso che porterà il Paese alle urne. Un itinerario che non esclude il passaggio di un governo di tutti, compresi FI e M5S, che si faccia carico della legge elettorale come chiesto anche ieri dal Quirinale. «Se qualcuno vuol metter su un altro governo Monti, si accomodi».

A Renzi è sufficiente evocare la parola dell'esecutivo che nacque nel 2011, e che alla fine il Pd si ritrovò a sostenere quasi da solo, che il partito ritrova un minimo di compattezza. Nulla di duraturo, ovvio, ma sufficiente per superare la direzione di oggi pomeriggio e presentarsi in maniera compatta all'appuntamento con il Quirinale e, soprattutto, con le altre forze politiche che evocano la necessità del cambio di legge elettorale, ma non sembrano disponibili a sostenere un governo che faccia le necessarie modifiche.

Dopo una giornata di tensione, in serata dal Quirinale filtra la preoccupazione che ieri l'altro era stato lo stesso Sergio Mattarella ad esporre a Renzi. Ovvero che «è inconcepibile indire elezioni prima che le leggi elettorali di Camera e Senato vengano rese tra loro omogenee». Non solo il Colle chiede anche di «attendere le conclusioni» del giudizio della Corte costituzionale, «il cui esito non è ovviamente prevedibile».

Occorre quindi attendere il 24 gennaio, data nella quale la Consulta ha fissato l'udienza per decidere sull'Italicum. La scelta di tempo della Costituzionale non ha incontrato il favore di palazzo Chigi. Anche se ufficialmente le bocche restano cucite il ragionamento è lo stesso che fa apertis verbis la leader di FdI Giorgia Meloni che si appella a Mattarella affinchè la Corte Costituzionale «non si renda complice di una dilazione temporale ingiustificata e risolva il quesito in tempi rapidi».

Anche perché «con quello che costa può certamente riunirsi anche il giorno di Natale». Resta il fatto che per arrivare ai primi di febbraio, quando la Consulta renderà noto il dispositivo, servirà un governo che sia in grado di affrontare anche una sentenza non immediatamente applicativa e che richieda l'intervento del legislatore. Di fatto si torna al punto di partenza. Renzi non ci sta a sostenere da solo un governo, tecnico o istituzionale e non ci stanno gli alleati. Alfano ieri è stato molto brutale, ma efficace, nel dire a Berlusconi che non otterrà gratis il prosieguo della legislatura, come vorrebbe. Il Cavaliere non sembra però in grado di reggere un governo - seppur tecnico o di scopo - visto come si sono esposti i suoi capigruppo. Per il M5S il discorso non si pone neppure anche se sull'autopplicatività della sentenza della Consulta sembrano troppo ottimisti.

Il pallino rischia di tornare al punto di partenza, Renzi ne è consapevole come Mattarella ma il passaggio dell'assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche sembra essere necessario anche per chiarire chi e in che modo traghetterà il Paese alle urne. Consumato il passaggio in direzione, Renzi si recherà venerdì al Quirinale. Uno slittamento dei tempi che conferma se non la tensione tra palazzo Chigi e Quirinale la diversa impostazione e forse i diversi interessi. Renzi non vuole metter su un governo di qualche mese per poi restare, come segretario del Pd se non come premier, sotto il fuoco della minoranza interna, dei grillini e dei berlusconiani. Quando venerdì Renzi andrà al Quirinale le risposte negative delle forze di opposizione all'invito di Mattarella saranno note e in quella occasione si consumerà il chiarimento decisivo tra presidente del Consiglio e presidente della Repubblica.

Il primo, spinto anche dalla moral suasion di Dario Franceschini, non esclude la possibilità di restare al suo posto e portare il Paese al voto con la stessa maggioranza che ha governato per tre anni ma non vorrebbe un reincarico, ma la possibilità di continuare a gestire il Paese per gli affari correnti sino al voto. Quindì venerdì dimissioni accettate con riserva dal Capo dello Stato, breve giro di consultazioni, per poi tornare a riprendere la soluzione-Renzi come unica in grado di portare il Paese alle urne. Per il Quirinale serve invece un governo nel pieno delle sue funzioni che, dopo aver messo in sicurezza la legge di Bilancio e il decreto terremoto, affronti il problema delle banche, il decreto missioni e magari anche l'appuntamento a Roma per i trattati di fine marzo. Di fatto un Renzi-bis - con tanto di voto di fiducia - che l'ex sindaco di Firenze non vuole e ribadisce l'alternativa tra «governo di tutti o voto», che finisce col mettere in secondo piano le preoccupazioni del Quirinale. 

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