Sepe e le ballate di capitan Capitone: su cd il newpolitan sound 2,1

Daniele Sepe come capitan Capitone e i fratelli della costa
Daniele Sepe come capitan Capitone e i fratelli della costa
di Federico Vacalebre
Domenica 21 Febbraio 2016, 17:30
4 Minuti di Lettura
È il nuovo disco di Daniele Sepe, ma il suo nome in copertina non c’è. Ed è - anche - il primo album collettivo dell’onda newpolitana 2.1, mucchio selvaggio riunito intorno ad un facinoroso timoniere, rinvigorito dalla frequentazione e dall’ascolto della next wave verace. «Capitan Capitone e i Fratelli della costa», dice il titolo del cd, etichetta FullHeads, pagato con il meccanismo del crowfunding di Musicraiser e in distribuzione tra un paio di settimane. Chi l’ha sovvenzionato ad occhi chiusi avrà anche il libretto con i testi, le foto ed altre informazioni, per gli altri solo il cd.
Un lavoro sorprendente, felice, variegato, divertito e divertente, inclassificabile, composto tra lo studio di registrazione e il Capitone, il gommone che il sassofonista ha comprato dopo il naufragio di «Fessbuk. Cronache dal manicomio» (2010), j’accuse anti-savianeo «all’indomani del quale mi trovai a spasso, quasi disoccupato: ero abituato ad un’estate intera on the road, mi sarei tagliato le vene non avessi deciso di riprendermi il mare», spiega il sassofonista. Così, tra Lucrino e Bacoli, il bar di Peppe e qualche bettola del centro storico, il musicista classe 1960 ha cementato il feeling con la nuova generazione sonica, cantautorale, ma non solo. Fino a portarla in piazza Municipio lo scorso 7 luglio per un concerto di supporto alla lotta dei cassintegrati Fiat di Pomigliano: «Fu allora che mi venne in mente questo progetto. Ventitre anni fa con “Vite perdite” fotografai la Napoli musicale degli anni Novanta, ora provo a tenere insieme la nuova onda: c’è e merita spazio, qui inizia a conquistarselo, ma a Pordernone, a Canicattì ancora non ne sanno niente».
Meno satira politica e più ironia, meno rabbia e più goliardia nel disco, meno militanza e la solita irriverenza: «Siamo entrati in studio senza avere nemmeno uno straccio di melodia, di riff. Io proponevo un personaggio, un argomento e... via. Il fatto di passare molto tempo insieme, quello privato del cazzeggio e del vino, ci permette di condividere storie. Un po’ come succedeva a Monicelli e Sordi, senza fare paragoni impossibili, che catturavano per strada i protagonisti dei loro futuri film».
Ecco, allora, l’irrestibile «Spritz e rivoluzione», commedia dei finti alternativi di piazza Bellini. Lui è crudista e polisessuale, segue l’impro jazz e il porno greco in lingua originale, ma è un bamboccione che «vive a casa di mammà. L’assonanza con il classico degli Area è un po’ amara e un po’ ubriaca». Ed etilici, quasi a riprendere il filo rosso con «In vino veritas» (2013), sono molti dei materiali incisi: da «Amò» a «Penelope», un sirtaki-calypso che guarda al maestro Carosone («Penelope & Ulisse») ma anche al maestro Conte («Onda su onda» ). «La chiamavano Sanità» è un’esilarante ballata western di un guappo post-gomorrista, mentre «Bambolina» riscrive «Bammenella» ai tempi delle escort. «Poggioreale mia» è un jailhouse blues, «Le range fellon» è una filippica in francese maccheronico sui mali della società dei consumi, ma non mancano le storie d’amore, come «Me ne vek bene». Dietro questo o quel pezzo per gli adepti al culto newpolitano sarà facile riconoscere la firma, e la voce, di uno o dell’altro degli autoconvocati Fratelli della Costa. Ma quel che più conta è il prodotto finale, l’afflato collettivo, capace di giocare al reggae, alla chanson mediterranea post-Nero a metà, al tradizionale slavo. Se Daniele fa un passo in dietro, rinunciando persino al nome in ditta, varrà bene la pena di prestare attenzione alle prossime occasioni per vedere dal vivo, tutti insieme o separatamente, quelli della ciurma di capitan Capitone, i fratelli della Costa: i Foja, La Maschera, ‘O Rom, Tartaglia Aneuro, Aldolà Chivalà, Mario Insenga & Hadacol Special, la Contrabbanda di Luciano Russo, Claudio Gnut, Maurizio Capone, Alessio Sollo, Nero Nelson, Sara Sossia Squeglia, Flo Cangiano, Auli Kokko, Piermacchiè, Gino Fastidio. Vecchie e nuove conoscenze, giovanotti e veterani.
«Rispetto a me, cresciuto a Marx e Bakunin, questi ragazzi sono più laici, hanno sogni più semplici e immediati e meno scheletri negli armadi», continua Sepe, «ma non vorrei si banalizzasse dicendo che loro mi hanno dato energia e io ho contraccambiato con la mia esperienza. Quest’onda merita», conclude, tornano alla terminologia marina: «Chi tene ‘o mare nun tene niente, ma almeno sa come spendere il suo tempo e capisce, perché lo tocca con mano nelle acque, come stiamo riducendo il pianeta».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA