Veronica Pivetti, inadeguata e felice :«Stavo male, così l'ironia mi ha salvato»

Veronica Pivetti, inadeguata e felice :«Stavo male, così l'ironia mi ha salvato»
di Carla Massi
Mercoledì 1 Febbraio 2017, 08:48 - Ultimo agg. 14 Febbraio, 17:00
4 Minuti di Lettura

Seconda elementare in una scuola di suore a Milano. Anno 1972. Quasi tutte le bambine seguono anche il corso di danza classica. Body, calzamaglia, tutù e scarpette. Già, tutto ha inizio dalle scarpette rosa per Veronica Pivetti, l'attrice che, per la seconda volta, si presenta come scrittrice di manuali autobiografici intimi. Il primo, nel 2012, sulla depressione che ha invaso la sua vita e oggi Mai all'altezza. Come sentirsi sempre inadeguata e vivere felice per Mondadori. Lei scrive che la sua inadeguatezza è iniziata con un paio di scarpette da ballo...
«Avevo sette anni e portavo trentasei di piede mentre le mie compagne di classe avevano ventisette, ventinove. L'ho dovuto dire a voce alta, davanti a tutti. Mi sentivo un fenomeno da baraccone».
 

 


E che cosa è accaduto quando lei ha detto trentasei?
«Un boato. Accanto a me, bambine e bambini si sganasciavano. Io, lo zimbello. Ed è solo l'inizio».

L'inizio di quello che racconterà in questo libro, dalle elementari ad oggi? Lei che misura 1,75 perseguitata dal disagio del «non sentirsi all'altezza»?
«Metto in fila tante storie, racconto la mia normalità e il mio muovermi avendo la sensazione di essere sempre fuori misura. Una sorta di ingombro da portare appresso che mano a mano si è sciolto anche grazie all'ironia».

Quella dei suoi personaggi?
«No, loro sono altro. Il lavoro. Parlo dell'ironia con la quale, per esempio, oggi riesco a descrivermi quando avevo diciotto anni. Una parruccona spaventata. Stigmatizzavo le signorine di facili costumi invidiandone l'audacia».

Un libro, un manuale, un'autobiografia o uno specchio perché chi legge riesca a ritrovarsi? Lei parla al presente e al passato, scene di un anno fa si sovrappongono ai suoi imbarazzi alle scuole medie. Eppure c'è ordine. Quale ordine?
«Non è un fiume in piena. Ho voluto unire il passato, come il rapporto con i miei e i ragazzi, ce n'è uno che chiamo Cubo e definisco vitellone, e l'oggi. Tutto si mischia e diventa una storia da leggere».

Tutto è sovrastato dall'incendio della sua casa di due anni fa, la distruzione totale che ha fatto da spartiacque nella sua vita...
«Un incendio catartico, è vero. Niente è rimasto di me e delle mie cose, fogli di libri, piccole cose. Ho dovuto ricominciare. Un lavoro dentro e fuori».

Lei ha narrato con dolore la sua depressione di qualche anno fa, questo libro sembra il superamento di quel momento. O no?
«Qui non c'è disperazione. Ho cercato di riportare il sapore del passato, dalle critiche delle amiche alla mia vergogna perenne, con la lucidità di adesso. E spero che, nella mia normalità, molti riescano a ritrovarsi».

La sua normalità? Lei è un personaggio pubblico, un'attrice che fa ridere...
«Ma mi sento una normale, una che ha dribblato sempre tra le sue paure e le sue titubanze. Da quelle più problematiche che lambiscono il senso della catastrofe cosmica alla presa di coscienza, in adolescenza, della mancanza di tette. Fino alle domande continue che mi sono sempre posta».

Tipo?
«A dodici anni mi chiedevo quale sarebbe stato l'alfabeto che che mi avrebbe permesso di comunicare con i ragazzi. Ingenua. Non sapevo che le parole fossero un optional a fronte di una quarta di misura».

Lei parla ridendo del suo disagio, mette in fila le sue disavventure emotive ma offre anche vie d'uscita percorribili. Così vuole tendere una mano a chi non sa uscire allo scoperto?
«La vita di tutti i giorni può essere anche un inferno per chi si sente sempre inadeguato, in debito di autostima. Ma il riscatto, anche dall'inferno, è possibile. Occorre riderci sopra e saperlo raccontare. Sì, vorrei aiutare anche con un sorriso».

L'incendio è il filo rosso che accompagna dall'inizio alla fine...
«Possedere, per me, non ha più molto senso. Sono diventata più sportiva nei confronti di ciò che ho o che mi piacerebbe avere. E so che perdere tutto può permettere di ricominciare. Perdere chi ami è la fine del mondo, ma perdere le cose no».