Morto Tony Iglio: aveva 90 anni il maestro soft jazz di cantaNapoli

Fu portiere di riserva ai tempi di Jeppson

Tony Iglio
Tony Iglio
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Sabato 13 Gennaio 2024, 10:29
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Negli ultimi tempi lo avevano adottato i fan dei Nu Genea e di «Napoli segreta» che lo chiamavano maestro eleggendolo tra i punti di riferimento nel revival di un sound newpolitano funky-jazz troppo presto archiviato e troppo tardi riscoperto: è morto l'altroieri sera, all'ospedale San Paolo, Tony Iglio. Arrangiatore, compositore, direttore d'orchestra e sassofonista, aveva novant'anni, oltre 1.500 canzoni dichiarate a suo nome in Siae ed una discografia copiosa e complicata spesso anche dall'uso di pseudonimi (si pensi all'italo-disco di Tonica e Dominante, oggi ricercatissimi sul mercato), rilanciata da recenti ristampe, anche internazionali, come quella di «Drug store», lp del 1971, «il disco più libero che io abbia mai inciso» diceva lui, ricercatissimo nella versione originale: ieri su Discogs qualcuno ne vendeva una copia a 3.000 euro. Sue le colonne sonore dei film di Mario e Sal Da Vinci; suo (e di Antonio Moxedano) un classico veteromelodico come «Nun t'aggia perdere» cesellato da Pino Mauro. In curriculum anche collaborazioni con Chet Baker e per la soundtrack di «Mean streets» di Scorsese.

Figlio d'arte, fu svezzato al jazz dai V Disc arrivati a Napoli al seguito dei militari americani. Da giovane si divise tra il sassofono (e il clarinetto) ed il calcio: musicista o portiere? Il destino scelse per lui: il Napoli di Jeppson e Pesaola aveva in porta una sicurezza come Ottavio Bugatti e come allenatore il fascistissimo Eraldo Monzeglio, a cui non piaceva per niente quel guaglione lettore de «L'Unità» e frequentatore di comunisti.

Musica doveva essere e musica fu, come ha raccontato nel 2010 a Pietro Gargano in un gustoso memoir intitolato Una porta per le stelle, in cui ricordava i suoi grandi incontri. Con Nino Taranto che appena vedeva uno spiazzo libero gli ordinava: «Toni', caccia o pallone che vediamo se riesci a parare un rigore», sventolando una banconota da 10.000 lire che quasi sempre passava di mano; con Totò che si era comprato una maschera antigas perché convinto che, visto che gli italiani avevano usato i gas in Etiopia, prima o poi lo avrebbero fatto anche gli Alleati contro di noi; primedonne come Maria Paris, Giulietta Sacco, Angela Luce, Gloria Christian; future star come Mina e Massimo Ranieri su cui non ebbe l'intuito di scommettere.

Garbato, educato, mai sopra le righe evitò sempre il tono guascone dell'ambiente musicale napoletano che reagì alla crisi rinchiudendosi in un conservatorismo pezzotto. Amò il soft jazz e vento di novità e di jazz moderato portò nel piccolo monto antico di cantaNapoli, attraversando la stagione dei festival, del revival della sceneggiata, delle ultime produzioni di una discografia locale alla canna del gas.

Fondò i Cabarinieri con Angelo Fusco; suonò nei night con il quintetto di Eddie Caruso e in orchestre dirette da Alberto Semprini (con cui inaugurò nel 1954 le trasmissioni televisive in Italia), ma anche da Hermann Scherchen, Artur Rodziski, Dimitri Mitropoulos, Gianandrea Gavazzeni ed Arturo Basile; scrisse canzoni per Domenico Modugno («Sona sona sona»), Nino Taranto («'O trapianto»), Nino Fiore («Preghiera e marenaro»), Mario Trevi («Malacatena»), Roberto Murolo, Mario Merola, Antonello Rondi, Tony Bruni, Umberto Boselli, Lucia Cassini e tanti altri. Nel 2015, a 82 anni, aveva esordito come cantautore con l'album «Se po' pure canta'».

Ciao Tony, ciao, e grazie di tutto.

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