Il ritorno del maestro Muti:
«Porterò al San Carlo un’opera di Mozart»

Il ritorno del maestro Muti: «Porterò al San Carlo un’opera di Mozart»
di Donatella Longobardi
Venerdì 20 Gennaio 2017, 10:29
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A 12 anni dal clamoroso addio, Riccardo Muti ritorna stasera sul podio della Scala con la sua grande orchestra americana, la Chicago Symphony. «E presto dirigerò di nuovo al San Carlo, stiamo lavorando alla possibilità non solo di un concerto ma anche di allestire un’opera di Mozart», annuncia il direttore napoletano che non ha mai dimenticato le radici e la città dove nacque e si formò. La mattina al Liceo Vittorio Emanuele, di pomeriggio a lezione da Vincenzo Vitale al Conservatorio di San Pietro a Majella. Poi, dopo il diploma in pianoforte, la decisione di seguire i corsi di direzione d’orchestra a Milano con Antonino Votto e Bruno Bettinelli e l’inizio della storia d’amore con la capitale del Nord. 

Li racconta spesso, Muti, quei tempi. Giovanissimo, nel 1962, arrivò davanti alla Scala per la prima volta: «A Napoli dicevano che a Milano faceva freddo, mi avevano fatto indossare un cappottone e un cappello enormi e c’era invece un bel sole caldo, mi sembrava d’essere finito in un film di Totò e Peppino...». Ne è passato di tempo. Dal 1986 al 2005 Muti è stato il re della Scala come direttore musicale. Ora il ritorno sul podio dopo la visita in giugno in occasione della mostra a lui dedicata per il suo settantacinquesimo compleanno. 
 
 

Ne parliamo, maestro Muti?
«La musica è musica e travalica cose, uomini, frontiere. Basti pensare che l’ultima volta ho diretto alla Scala un concerto della Filarmonica di Vienna, m’ero già dimesso ma volli mantenere l’impegno. E ora torno con un’altra grande orchestra non italiana, l’Orchestra Sinfonica di Chicago con la quale da sette anni ho un rapporto splendido».
Ma la sua prima volta alla Scala?
«Come direttore fu nel ‘70, all’epoca ero già direttore al Maggio Fiorentino e guidai le compagini scaligere: un pezzo di Bettinelli, Morte e Trasfigurazione di Strauss, la Corale di Beethoven con Dino Ciani al pianoforte. La prima opera fu nell’81: le “Nozze” con la regia di Strehler. Nell’83 Siciliani mi volle per un’apertura di stagione con “Ernani”. Nell’86 la prima inaugurazione da direttore musicale con il “Nabucco”, fece molto discutere il fatto che concessi il bis del “Va’ pensiero” contravvenendo ai dettami di Toscanini».
Stasera lei propone proprio un omaggio a Toscanini di cui quest’anno ricorrono i 60 anni dalla scomparsa e i 150 dalla nascita.
«Sì, lo faccio con un brano nostalgico di Catalani, autore da lui molto amato. Esattamente il 20 gennaio del 1892 alla Scala ci fu la prima del suo capolavoro, “La Wally”. Poi eseguiremo “Don Juan” di Strauss e la Quarta di Chaikovsky, domani in locandina ci sono anche i “Quadri di una esposizione” di Mussorgsky-Ravel di cui ricordo la versione pianistica nei miei studi napoletani».
Non è la prima volta che l’orchestra di Chicago suona nella sala del Piermarini.
«L’ultima volta è stata a Milano nell’1981, ora la formazione è molto cambiata, ci sono tanti giovani che in quella occasione non erano neppure nati. I musicisti sono molto curiosi di esibirsi in questo teatro caro a Verdi e Toscanini, ma ricordano con molto piacere il San Carlo dove abbiamo tenuto insieme un bellissimo concerto nell’aprile del 2012, per tutti loro fu un’esperienza memorabile conoscere il teatro e Napoli». 
Un teatro che lei non dimentica?
«E come potrei? Certo la Scala rappresenta vent’anni di vita, grandissime soddisfazioni. Ma Napoli è la città dove mia madre volle farmi nascere e dove ho imparato la musica».
Quando tornerà allora?
«Forse già l’anno prossimo, non è facile trovare un lungo periodo libero, la mia agenda è pienissima tra gli impegni a Chicago, i Wiener, Salisburgo. Anche alla Scala mi chiedono di dirigere un’opera, il sovrintendente Pereira vorrebbe “La Forza del destino” di Verdi. A Napoli con la sovrintendente Rosanna Purchia stiamo studiando la possibilità di mettere insieme un concerto e un’opera, molto probabilmente sarà un’opera di Mozart che amo particolarmente».
In dicembre ha tenuto due eccezionali lezioni al San Pietro a Majella ripetendo l’esperienza dello scorso anno. Rifarà anche queste?
«Certamente. Il rapporto con i giovani per me oggi è fondamentale, amo trasmettere quello che ho imparato dai miei maestri. Ho i corsi della mia Italian Opera Academy a Ravenna dove quest’anno illustrerò “Aida”, opera che dirigerò in estate a Salisburgo con la regia dell’iraniana Shirin Nesshat, dopo aver celebrato i vent’anni dei Viaggi dell’Amicizia col Ravenna Festival a Teheran. Ma è chiaro che il rapporto con il conservatorio napoletano è diverso. Ogni volta che entro in quegli antichi cortili mi sembra di essere ragazzo e sentire le voci dei miei insegnanti, di Vincenzo Vitale, di Jacopo Napoli, di Franco Caracciolo o Aladino Di Martino. La direttrice Elsa Evangelista sta facendo un ottimo lavoro, anzi mi auguro che ci sia sempre un bel legame tra Conservatorio e San Carlo. E anche con i musei cittadini come Capodimonte dove è direttore il mio amico Sylvain Bellenger, persona di grande cultura e qualità».
Vi eravate incontrati a Chicago, è vero?
«Lui era curatore del dipartimento di arte europea e medioevale dell’Art Institute, un complesso museale molto moderno disegnato da Renzo Piano che si trova quasi di fronte alla sede della nostra orchestra. Volle esporre un grandissimo presepe del Settecento napoletano e mi chiese di scrivere una presentazione. Per gli americani fu una grande scoperta».
E per lei?
«Bellissimo vedere gli americani in fila davanti a quei duecento magnifici pastori, mi riscaldava l’animo pensare di avere vicino un pezzo di Napoli nei gelidi inverni di Chicago».
Città del vento, Chicago, ma lì ha trovato un’orchestra e un pubblico che la adorano.
«Si è creato immediatamente un rapporto magnifico, si sente da come facciamo musica insieme. Ne è testimonianza il successo di questa tournée europea. Finora in cinque giorni cinque concerti in tre Paesi diversi, e abbiamo ancora tappe a Vienna e Baden Baden, chiudiamo a Francoforte il 27».
Ad Amburgo la Chicago è stata la prima orchestra straniera ospite nella nuovissima sala della Elbphilharmonie, cosa ne pensa?
«Forse il colossale edificio progettato dagli archistar svizzeri Herzog & De Meuron - autori delle scene di ”Attila” che diressi nel 2010 al Metropolitan di New York - fa più impressione nelle foto. Le luci, il fiume... Una sala enorme che a suo modo è un gioiello architettonico. L’acustica è un po’ fredda, molto diversa da quella raccolta ed elegante trovata a Parigi nella sala intitolata di recente a Pierre Boulez. Ma magari avessimo in Italia un complesso del genere! Pensare che ci sono zone dove non ci sono né teatri né orchestre...».
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