Sanremo 2017, le prime pagelle dei big:
Mannoia la migliore, Nesli-Paba i peggiori

Fiorella Mannoia
Fiorella Mannoia
di Federico Vacalebre
Venerdì 20 Gennaio 2017, 15:32 - Ultimo agg. 21 Gennaio, 02:10
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Nulla di nuovo sul fronte occidentale, perché Sanremo è Sanremo e anche quest'anno, anzi soprattutto quest'anno, la musica italiana, di qualità o commerciale che sia, non abita qui, dove si azzardano piuttosto ogm canori, dove i ragazzini fanno i seniores, i veterani si travestono da juniores e lo standard autorale è diventato quello, bassissimo, degli inediti dei talent show.

D'Alessio e l'albanese d'Italia Ermal Meta cantano la mamma, Clementino chi dà una mano ai ragazzi usciti dal carcere o dalla droga, il resto è solo tre parole: sole, cuore e amore, con Mannoia e Masini che sembrano l'eccezione che conferma la regola e la Ferreri ed Elodie che sgambettano con furbe canzoni molto più adulte di loro.

Il gioco delle pagelle al primo ascolto è crudele e spietato, obbliga il critico a un giudizio secco, non mitigato o esacerbato da studi più attenti e lo espone a ripensamenti in corso d'opera, dettati soprattutto dalle prove vocali sul palco dell'Ariston. Nell'attesa che vengano «quei giorni fatali», dal 7 all11 febbraio, madamina il catalogo è questo e, come d'abitudine, i voti sono espressi in numeri «festivalieri»: nel resto dell'anno li si abbasserebbe di due punti di media, a Sanremo non si può, pena una collezione di «non pervenuto».

1) Al Bano («Di rose e di spine»). Parte basso, così può prepararsi a sparare al cielo la romanza di Maurizio Fabrizio e Katia Astarita, al servizio del vocione del Carrisi: senza la sua vis passerebbe inosservata. Voto: 4 e mezzo.

2) Bianca Atzei («Ora esisti solo tu»). Se mai si cercava la prova che meritasse, di nuovo, un posto tra i big, qui non c'è, non basta che il pezzo sia di Kekko Silvestre dei Modà. Anzi. Errare humanum est perseverare diabolico. Voto: 3.

3) Alessio Bernabei («Nel mezzo di un applauso»). Incipit con violini e frase pornoclou («Stanotte ho aperto/uno spiraglio nel tuo intimo») poi... la premiata ditta Casalino/Faini/Casagrande aggiunge tapum tapum al sound Dear Jack, come se non bastasse l'originale. Voto: 2.

4) Michele Bravi («Il diario degli errori»). Appena fatto coming out senza paura di perdere lo zoccolo conservatore festivaliero che mai lo avrebbe seguito, l'ex ragazzo del talent show si è fatto scrivere da Cheope/Abbate/Anastasi una fragile canzone di autoaccettazione sentimentale, dalla costruzione anomala, almeno per l'Ariston. Voto: 5 e mezzo.

5) Clementino («Ragazzi fuori»). Una dedica a chi «la vita ha servito pane col veleno», a chi ha raschiato il fondo inginocchiato di fronte a un falso dio: il rapper si fa cantacronache quasi melodico-mainstream e racconta il coraggio di chi si sbatte al buio, di chi dà una mano dove è più difficile, a chi non vuole tornare in galera o nel tunnel tossico. Pensando al film di Marco Risi e con un aiuto autorale dell'amico Marracash, più i fidi Shablo e Zef, uncina due strofe in napoletano nel testo in italiano: «Tu ca' me parle cu''lluocchie e veco 'a faccia 'e papà/ ferite 'ngoppa 'e ginocchia, scugnizzi dint''a sta città». Voto: 6.

6) Lodovica Comello («Il cielo non mi basta»). La ragazza della Disney vorrebbe dimostrare di essere cresciuta, ma non sa come, non lo sa proprio. Insapore, incolore. Voto: 3 e mezzo.

7) Gigi D'Alessio ( «La prima stella»). Lettera a mammà che non c'è più, che non può vedere il figlio e lo strano mondo in cui vive, in cui i bambini si fanno anche senza amore (sarà polemica?), si cura il «vecchio male» e si fugge - o si muore - nel mare. Neodalessiana, colpirà al cuore il pubblico veterosanremese con la melodia assassina, il ricatto degli affetti e degli archi. 5 e mezzo.

8) Elodie («Tutta colpa mia»). Lo zampino autorale di Emma non tragga in inganno, perché il pezzo è minoso, miniano, minato, nel senso che sembra rubato al repertorio di Nostra Signora della Canzone. E, testo a parte, è meno peggio di quanto ci si potesse aspettare dalla pupilla di Maria De Filippi. Voto: 5. 

9) Giusy Ferreri («Fa talmente male»). Gypseggiante mandrakata anni Settanta di Casalino/Takagi/Ketra/Catalano destinata ad ossessionarci dalle radio. Fatalmente hit. Voto: 5 e mezzo.

10) Francesco Gabbani («Occidentali's karma»). Riscrivere Battiato può riuscire ai Baustelle, non al vincitore 2016 tra i Giovani, che spreca la promozione nella categoria superiore con una filastrocca esotericheggiante su base cecchettiana da villaggio turistico. Voto: 4.

11) Chiara Galiazzo («Nessun posto è casa mia»). Una canzone elegante (il tocco del produttore Mauro Pagani si sente), quanto banale, che segnala la svolta di un'interprete finalmente consapevole del proprio potenziale e del proprio mestiere, che però ancora deve mettere a punto il repertorio: «Non era la vita che stavamo aspettando/ ma va bene lo stesso», intona, sprecando poi l'effetto aggiungendo: «è l'amore che rende tutto perfetto». Si può dare di più, ma la strada inizia ad essere quella giusta. Voto: 5 e mezzo.

12) Fiorella Mannoia («Che sia benedetta»). Amara non è Violeta Parra e non ha scritto «Gracias a la vida», ma, nell'intronata routine del cantar leggero e con la classe da interprete della rossa «Combattente», la sua canzone è un bell'inno alla vita, nonostante tutto, «per quanto assurda e complessa ci sembri». Troppo facile dirla la cosa migliore di quest'edizione, troppo facile. Voto: 7.

13) Marco Masini («Spostato di un secondo»). Beati i monocoli in terra caecorum: il toscano, con la complicità di Zibba in fase di scrittura,  mette se stesso in quello che canta, gli schiaffi, la nicotina e la voce che si è portata via, la depressione, le discese ardite e le risalite. Il talkin' imprigiona la canzone, ma almeno evita la monotonia, se non la malinconoia. Voto: 6 e mezzo.

14) Ermal Meta: «Vietato morire». Storie di vita vissuta, l'omaggio alla madre che gli raccomandava di imparare a disubbidire e che lui ha imparato a difendere da mani violente quando ancora portava i pantaloncini. Furba, contemporanea, a tratti intensa, altre volte buttata via. Voto: 5 e mezzo.
 
15) Fabrizio Moro: «Portami via». Onesta canzone d'amore, con furbo crescendo che si placa sul finale. Voto: 5 e mezzo.

16) Nesli & Alice Paba («Do' retta a te»). La coppia è raccogliticcia, lei è stata paracadutata senza motivo qui, il cielo è sempre più blu (ma no?) e fa rima con tu e più (ma no!). Voto: 3.

17) Raige e Giulia Luzi («Togliamoci la voglia»). La voglia del titolo passa ascoltando il minestrone di power rock, finto rap e melodietta italiota. Siamp all'estetica dell'inorganico con invito finale al togliersi i vestiti reso innocuo dal sound impotente. Voto: 3.

18) Ron («L’ottava meraviglia»). Chanson (minore) d'autore su un amore-raggio quotidiano di serenità tra le brutte notizie scandite alla radio. Voto: 5 e mezzo.

19) Samuel («Il codice della bellezza»). Con i Subsonica era riuscito ad usare Sanremo senza esserne travolto o snaturato. Alla prova solista si misura con quel che resta della passione e subsonicheggia ma in stile terra dei cachi. Voto: 5 e mezzo.

 20) Sergio Sylvestre («Con te»). Un testo di Giorgia per il soul-pop del vocione lanciato da «Amici», con l'ormai immancabile apertura gospel finale. Se regge dal vivo, l'ugola può fare la differenza, altrimenti... Voce: 5.

 21) Paola Turci («Fatti bella per te»). Nessuno meglio di lei poteva cantare quest'inno a una sana e consapevole stima di se stesse. Ma l'arrangiamento nekkizzante spreca il colpo. Voto: 5 e mezzo.

22) Michele Zarrillo («Mani nelle mani»). Fedele a se stesso, con la complicità di Artegiani e una vocalità che guarda a Mango, il romano torna senza graffiare, ma forse i graffi non sono ma stati il suo pane e forse gli andrà bene anche questa volta. Voto: 4.

Considerazioni a margine: perchè mai aumentare i big da 20 a 22? Davvero i duetti Nesli-Paba e Raige-Luzi erano così belli da motivare la decisione? E davvero Atzei e Bernabei non potevano restare a casa? E davvero le loro canzoni erano meglio di quelle scritte da Renato Zero per Sal Da Vinci?

Notizie a margine. Il contratto con Crozza è chiuso, una sua «Copertina» è in scaletta ogni sera, ma non è detto lo si veda all'Ariston. Martedì con Tiziano Ferro ospiti Ricky Martin e la coppia Cortellesi-Albanese (hanno un film da promozionare), mercoledì Giorgia (che però è in gara come autrice del brano di Sylvestre: c'è chi parla di cattivo gusto e chi di voto di scambio), giovedì Mika, venerdì spazio alle cover, sabato si chiude con Zucchero. Domenica, come per incanto, torneremo alla musica italiana di rito non sanremese, trap o neomelodica, indie o major, d'autore o figlia di «nn» che sia.
 

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