Zero: «Sanremo ha bocciato il mio omaggio a Napoli»

Zero: «Sanremo ha bocciato il mio omaggio a Napoli»
di Federico Vacalebre
Venerdì 20 Gennaio 2017, 10:23 - Ultimo agg. 11:05
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Si presenta da cantautore-operaio, glitterato, però, altrimenti che Renato Zero sarebbe, nel cantiere della musica in cui ha ambientato il tour di «Alt» che lo porta stasera e domani sul palco del Palasele di Eboli.

Difficile cantare, Renato, con le notizie drammatiche di giornata?
«Certo, com'è difficile trovare la forza di andare avanti di fronte a tragedie che ti lasciano a bocca aperta, come un bambino spaventato. La neve che si aggiunge al terremoto, un albergo cancellato da una slavina e l'Italia..., povera Italia, cantava Battiato».

Quale Italia, Zero?
«Sempre la stessa, chi paga sono i contadini che rimangono per difendere gli animali da pascolo, dopo aver visto crollare le case e le stalle. Chi paga sono i povericristi, sempre e comunque, perché se è vero che la Natura può essere matrigna, lo è sempre di più con chi ha poco o niente. Però chi canta prega due volte e, con me, protesta due volte, si esprime due volte, si indigna due volte. E, sopratutto, si sfoga due volte».

È ancora ottimista?
«A mio modo sì, in un Paese maltrattato, senza censimento delle zone, degli edifici a rischio, credo nella gente, nella solidarietà di chi ha poco ed è disposto a dividerlo, piuttosto che nei potenti che assomigliano a cicale che hanno troppo cantato. Ecco, ho fiducia nell'Italia delle formichine».

E per le formichine ed i sorcini canta dal palco del suo cantiere della musica.
«Il mio show è un bastione, una trincea. Un abbraccio, una corrispondenza di affettuosi sensi, ma anche un antidoto, un esorcismo. Le mie sono solo canzonette di un cantautore-operaio, ma riscaldano il cuore, fanno parte di quella cultura popolare che questo paese troppo spesso dimentica, snobba, discrimina. Penso a Napoli».

In che senso?
«Napoli è stata capitale musicale, e lo è ancora, in qualche modo, basti pensare che io in tour mi porto i Neri per Caso e un percussionista del calibro di Rosario Jermano, che ogni volta che può - capiterà domani - mi raggiunge Sal Da Vinci. Sono felice di poter incontrare il mio pubblico a Eboli, ma è possibile che Napoli non abbia uno spazio adatto? È possibile che i governanti che si sono succeduti non abbiano pensato che costruirne uno fosse una priorità, culturale come economica? È come la storia di Fonopoli: la mia cittadella della musica non l'hanno voluta, poi si sono ritrovati circondati dai prodotti dei talent show».

Prodotti che impazzeranno anche quest'anno a Sanremo, dove non hanno voluto «Nanà», la canzone che aveva scritto proprio per Sal Da Vinci.
«Sono in...cacchiatissimo, diciamo così. Non per me, non per la canzone, e nemmeno per Sal, con cui ho composto gran parte del suo nuovo disco, Non si fanno prigionieri. Avevo scritto, in questo momento, un inno d'amore per Napoli città aperta, Nanà appunto: possibile che non meritasse di essere tra i 22 brani scelti?. Tutti migliori del mio? Tutte voci migliori di quella di Sal?».

Recentemente ha incontrato un altro artista napoletano, Avitabile.
«Abbiamo duettato in uni brano del suo album, anche lui è una testimonianza di quello che dicevo prima: se sono ottimista è anche perché, nonostante tutto, Napoli continua a sfornare talenti del genere, liberi di andare controcorrente».

Anche in questo tour di sold out si assiste, stupiti, al miracolo di una platea in cui i sorcini della primissima ora si confondono con quelli appena arrivati.
«Sono commoventi nel loro attaccamento, come sono sorprendenti i giovani, che mi scoprono con i dischi nuovi e poi vanno indietro a cercare quelli vecchi».

Dove c'erano canzoni che fecero scandalo: «Madame», «Mi vendo», «Il triangolo»... Oggi si tende a dimenticare che Zero si è imposto come personaggio scomodo, alieno persino rispetto al mondo della canzone d'autore.
«Se non sei scomodo non meriti di importi, di trovare uno spazio. Lo scandalo non è cantare chi sei, ma cantare chi non sei, travestirti. Ecco, io ho fatto e faccio del travestimento un'arte, cambio abito e aspetto ogni volta che posso. Ma sono sempre Renato, un personaggio che da trovato il suo autore: se stesso».
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