Sud, l'editoriale del direttore Roberto Napoletano: le eredità negative del passato e i segnali di un nuovo futuro

Segnali rilevanti di un dinamismo produttivo dalla Campania alla Puglia

Roberto Napoletano
Roberto Napoletano
di Roberto Napoletano
Mercoledì 8 Maggio 2024, 07:26 - Ultimo agg. 17 Maggio, 16:03
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Ciò che mi preme di più trasferire ai lettori de Il Mattino in questi primi giorni di direzione è che abbiamo i piedi ben piantati per terra e conosciamo in profondità la pesantezza del divario infrastrutturale materiale e immateriale, e il carico di diseguaglianze e povertà che pesa come un macigno su tutti, incide sul reddito e la qualità della vita delle persone. Tutto ciò (verissimo) non ci deve, però, impedire di cogliere i segnali altrettanto rilevanti di un dinamismo produttivo che è riuscito a fare della Campania, nei quattro anni post Covid, il territorio tra i Paesi del G7 con la maggiore crescita dell'export e della Puglia il secondo addirittura per crescita del prodotto interno lordo (Pil).

Marco Fortis lo documenta, da par suo, utilizzando primarie fonti nazionali e internazionali qui a fianco in prima pagina e all'interno, e noi insistiamo su questi numeri perché ci aiutano a capire in modo decisivo che l'analisi dell'economia del Mezzogiorno non può fermarsi ai problemi, ma deve sapere cogliere le potenzialità di sviluppo e i segnali positivi di cambiamento. Perché la politica del futuro che serve al Mezzogiorno non può essere quella della lamentazione e dell'assistenzialismo, ma piuttosto della programmazione, dell'attrattività e dell'investimento produttivo che si alimentano con il motore della fiducia contagiosa e il cambio del paradigma organizzativo.
In un contesto geopolitico segnato da due guerre e mille complicazioni che pongono, però, il Mezzogiorno all'attenzione degli investitori globali determinando un'opportunità storica.

La drammatica tragedia sul lavoro di Palermo con il suo carico di morti senza maschere, che ci riporta indietro di un secolo quando non esisteva la cultura della prevenzione degli infortuni, e i nuovi dati Istat sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie ci dicono che il Mezzogiorno migliora ma deve fare ancora molta strada per ridurre i suoi divari socioeconomici con il Nord-Centro Italia.
Un indicatore chiave significativo è il reddito familiare mediano, ovvero il livello di reddito che divide il numero di famiglie in due parti uguali. Si tratta di una statistica meno fuorviante della semplice media, afflitta dal noto problema del "pollo di Trilussa". Ebbene, nel 2022 le famiglie del Nord-est Italia disponevano del reddito mediano più elevato (33.568 euro), seguite da quelle del Nord-ovest, del Centro e del Mezzogiorno, con livelli di reddito inferiori rispettivamente del 6%, del 9% e del 28% nei confronti di quello del Nord-Est.

È evidente da questo semplice confronto il forte ritardo strutturale che continua a caratterizzare il Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese.

Così come un altro indicatore chiave è la diseguaglianza tra i redditi dei cittadini, misurata dall'indice di concentrazione di Gini, un coefficiente che prende il nome dallo statistico italiano che lo ideò, e che è stimato dall'Istat per l'Italia pari a 0,315 nel 2022. Questo indice, calcolato per il Sud e le Isole, risulta pari a 0,321 e, ancorché in riduzione, resta significativamente superiore al dato medio nazionale, mentre Centro (0,305), Nord-Ovest (0,295) e Nord-Est (0,282) presentano un valore marcatamente più basso.

Si potrebbe ovviamente parlare a lungo dei divari, anche interni, allo stesso Mezzogiorno, cioè tra le sue diverse regioni, in termini di condizioni sociali, di servizi pubblici, di sviluppo industriale ed economico, di dotazioni di infrastrutture, di digitalizzazione. Dietro queste analisi c'è la teoria dello sviluppo sbilanciato che ha molto senso se diventa pratica effettiva che si espande allargando sempre più, direttamente e indirettamente, le aree di sviluppo. Non può sfuggire a nessuno, però, l'importanza cruciale di una piena attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), una occasione unica ed irripetibile, che passa una sola volta in un secolo, per ridurre, almeno in parte, il divario tra il Mezzogiorno e il resto del Paese e, al suo interno, tra le stesse regioni meridionali. Soprattutto se questa occasione finanziata dagli eurobond pandemici si coniuga, come si sta provando a fare, con l'utilizzo in un quadro coordinato di tutti gli investimenti pubblici europei e nazionali in modo da fare spesa produttiva e mobilitare altrettanti investimenti privati interni e esteri. Realizzando, non a parole, il grande hub energetico del Mediterraneo e investendo come non è mai avvenuto prima sul capitale umano euromediterraneo facendone una priorità di spesa del bilancio pubblico europeo e italiano.

Per questo riteniamo che l'analisi dell'economia del Mezzogiorno non può fermarsi ai problemi, ma deve anche sapere cogliere le potenzialità di sviluppo e i segnali positivi di cambiamento come sono la crescita record del PIL della Puglia e dell'export della Campania negli ultimi quattro anni rispetto ai livelli pre-Covid del 2019. Sono valori record, quelli di queste nostre due regioni meridionali, che hanno contribuito a trainare l'economia e il commercio estero dell'intera Italia ai primi posti nel G7. Un G7 quest'anno presieduto dall'Italia, il cui vertice si terrà nel prossimo mese di giugno proprio in Puglia, la regione "regina" della crescita. Almeno diciamolo.

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