«Dobbiamo mandare 50 giorni di malattia. Tutti quanti, perché non esiste. Tu sei il direttore, tu ci devi proteggere. Punto. Per un marocchino di m...a che manco parla l’italiano». È lo scorso marzo e gli agenti indagati per le violenze al Beccaria si rendono conto, tra l’irritato e l’allarmato, che ai vertici dell’istituto l’aria è cambiata.
Vincenzo Trovato, indagato e sospeso dal servizio, manifesta il suo disappunto in una conversazione intercettata: «In passato, quando accadevano simili episodi spiacevoli, il comandante Ferone li salvava, mentre la nuova comandante non guarda in faccia a nessuno».
I VIDEO
Tra gli agenti serpeggia l’indignazione e il comandante viene preso di mira: «È tutto scemo. Io non so perché si è svegliato in questo modo. Dice che sta prendendo provvedimenti seri, si sta scaricando le telecamere. Tutte le mazzate che so state date qua, non puoi fare una cosa del genere», il tenore dei commenti. Il sistema di autoprotezione messo in atto dagli indagati si sgretola. «Prima non c’erano le videocamere, si trovavano le scuse, il ragazzo ci ha aggredito, bla bla bla. Ma mo’ non è più come una volta, mo’ stanno le telecamere che parlano. E come ca... ti giustifichi?». Simone Talamo, finito in carcere, si stupisce con un collega della determinazione del nuovo direttore a non lasciare cadere nell’indifferenza quei casi sospetti. Un altro degli arrestati, Giovanni Blandino, discutendo della possibilità che fossero acquisite le immagini, il 9 marzo nutriva ancora la speranza che per lui finisse bene: «Nei video si vedono tante palate, tante e brutte. Però vabbè... alla fine io lo so com’è che non gli devo lasciare un ca..o. Infatti non ha un segno addosso». Al gruppo non resta che provare a compattarsi e reagire con l’unico strumento disponibile: l’assenteismo di massa. Il consiglio di Talamo: «Fratè, veramente gli mandiamo tre giorni di malattia tutti quanti. Lo facciamo crollare sto ca..o di carcere se si permettono, zio».