Il destino segnato dei bulli di Napoli

di Isaia Sales
Domenica 14 Gennaio 2018, 10:41
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Ricapitoliamo. Nel corso del 2017 tre problemi si sono imposti nel campo della pubblica sicurezza a Napoli, ed è molto probabile che ci accompagneranno ancora per tutto il 2018. Il primo riguarda il tentativo di scalata di gruppi di minorenni ai vertici di alcuni clan di camorra, con diversi ragazzi autori di omicidi e altrettanti ammazzati. Il secondo riguarda la conferma dell'importanza nazionale e internazionale di alcuni clan storici della camorra di città non scalfita dal tentativo di rottamazione dei capi clan da parte dei giovanissimi. 

Tentativo favorito paradossalmente dalle incisive attività investigative delle forze dell'ordine e dai numerosi arresti operati dalla magistratura in questo periodo. Il terzo riguarda una diffusa violenza minorile di strada non necessariamente legata ad organizzazioni criminali ma che colpisce per l'assenza di qualsiasi motivazione scatenante, per la sua gratuità e la sua crudeltà. Questi tre problemi si sono presentati contemporaneamente, nelle stesse zone della città e con la stessa carica di pericolosità, facendo di Napoli e del suo hinterland un caso complesso e del tutto originale nel panorama criminale nazionale ed europeo.

Perché originale e complesso? Perché sono arrivate ad esasperazione questioni che non necessariamente in altre parti si intrecciano. L'impalcatura sociale su cui si è retta la città negli ultimi decenni sembra quasi sbriciolarsi. Per esempio in altre città la questione minorile e quella criminale non sono strettamente legate come a Napoli. Fenomeni di bullismo non necessariamente portano i protagonisti a candidarsi a far parte di bande legate alla criminalità organizzata. Nessuna forma di bullismo a Napoli sembra esente da una relazione presente o futura con la violenza organizzata degli adulti. Cominciare con la violenza a quattordici anni vuol dire quasi sicuramente avere scarse possibilità di tornare indietro negli anni successivi, in una velocissima progressione di reati che comporta l'esporsi ad uccidere o a farsi uccidere nel giro di un decennio. C'è inoltre da segnalare che a Napoli e provincia la questione urbana si intreccia strettamente con la questione criminale: i minori violenti e gli adulti criminali vengono dagli stessi luoghi, i quartieri del centro storico e i palazzoni delle case popolari costruite come caserme nelle sterminate periferie della città e dell'hinterland. Le scelte politiche ed urbanistiche di questi decenni di non mettere mano al risanamento del centro storico e di fare accumulare in periferia un grumo inestricabile di disagio sociale si sono rivelate criminogene.

Certo la criminalità dei minori in Italia sta assumendo sempre più un carattere allarmante, e non solo a Napoli. Prendiamo i dati del Ministero della giustizia per il 2016. I minori interessati sono stati più di 18.000 per complessivi 44. 462 reati commessi. Il 75% sono ragazzi italiani. Vengono poi, a grandissima distanza, i romeni, i marocchini e gli albanesi. Non c'è, dunque, in Italia un problema di bande di giovanissimi latinos (come avviene negli Usa) o di minorenni di colore (come in alcune grandi città europee). I reati più frequenti sono il furto, le lesioni personali, lo spaccio di stupefacenti e le rapine. Cosa distingue la violenza minorile a Napoli rispetto al resto del Paese?

Se in altre parti d'Italia i reati dei minori hanno moltissimo a che fare con le rapine e il consumo e lo smercio della droga, a Napoli la maggior parte riguardano, oltre la droga e le rapine, scippi, estorsioni, uso di armi, omicidi e tentati omicidi. Se in altre città l'esperienza in istituti di pena minorili non si tramuta necessariamente in continuità delinquenziale al raggiungimento della maggiore età, a Napoli e provincia una gran parte dei ragazzi che hanno commesso reati passano nelle carceri per adulti. Se nelle altre città, le forme violente si esercitano anche da parte di ragazzi provenienti da famiglie benestanti, a Napoli invece c'è quasi il monopolio di atti violenti da parte di ragazzi di famiglie sottoproletarie. 

Infatti, è considerevole il numero di minori in istituti di pena che non ha completato la scuola elementare, è altrettanto rilevante il numero dei provenienti da famiglie numerose (dai quattro figli in su), è altissimo il numero di chi ha un genitore, un fratello, un nonno o uno zio in carcere. I minorenni delinquenti sono in linea di massima figli, fratelli o nipoti di pregiudicati. Essi hanno cominciato prestissimo l'acculturazione illegale, per strada e in famiglia. In molti di essi l'analfabetismo di ritorno è elevatissimo. Si esprimono esclusivamente in dialetto, la lingua italiana la capiscono ma non la parlano. Troppi giovani dei quartieri del centro storico e delle periferie pensano che l'unico accesso alla mobilità sociale sia fornito dalla spregiudicata e spietata utilizzazione della violenza. Che la selezione delle opportunità avverrà per via illegale o criminale, e potranno parteciparvi solo coloro che sanno farsi valere nei commerci illegali e nell'uso delle armi. 

Siamo di fronte, insomma, ad un particolare e impressionante approdo della questione minorile e giovanile in una grande area urbana senza mezzi economici, culturali e sociali di integrazione, e con una lunga tradizione criminale aggregatrice alle spalle. Cioè, siamo di fronte a un problema strutturale di contesto. 

E la violenza sembra ancora più efficace se messa in scena, ripresa, fotografata, perché bisogna vantarsene sul web davanti al mondo. Sul palcoscenico della città e del web i giovani criminali esibiscono l'unica virtù che pensano di possedere, cioè picchiare, mettere paura, offendere, ferire e addirittura sparare e uccidere, e soprattutto non avere paura delle conseguenze delle loro azioni, giocare con la morte e con la vita. Insomma, la violenza come offesa, difesa e linguaggio. La vita da adulti non comincia a diciotto anni ma da quando si è in grado di sottomettere qualcuno con il terrore delle armi o con la violenza delle mani. E per di più questa violenza si colora di invidia, di odio, di rabbia, di rancore sociale verso i figli della Napoli bene, dando vita a una inedita lotta di classe basata sul sopruso di chi si sente emarginato. 

Si vuole intaccare seriamente questa situazione? È sicuramente un'operazione difficilissima sul piano sociale e politico ma assolutamente fattibile. Occorre, però, una radicalità di idee, di risorse e di strumenti, una fortissima collaborazione delle strutture pubbliche e private, un comune sentire del governo nazionale e di quello locale, una sintonia tra tutte le agenzie formative di senso e di valori, dalla chiesa alla scuola, dalle università agli imprenditori. Non c'è alternativa. E il tempo a disposizione si sta esaurendo.
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