Tredici pagine per motivare la conferma del dissequestro del tesoro dei fratelli imprenditori Pellini.
Lette tutte di un fiato, non ci sarebbero vie di uscita: quei beni - parliamo di circa 220 milioni di euro - devono essere dissequestrati, perché la confisca in appello è arrivata decisamente in ritardo rispetto ai 18 mesi previsti dal codice.
Eppure, sono sempre i giudici della Suprema corte a lasciare una sorta di spiraglio, circa la opportunità - almeno da un punto di vista ipotetico - di far scattare una sorta di provvedimento di sequestro bis. In sintesi, un assist ai pm della Procura di Napoli e della Procura generale, ufficio guidato dal procuratore generale Antonio Gialanella, da sempre in prima linea nel rispetto delle regole e nella conduzione di fascicoli che riguardano la difesa dell’ambiente. E non è tutto. La pubblicazione delle motivazioni con cui la Cassazione dispone il dissequestro del tesoretto dei fratelli Pellini avviene nelle stesse ore in cui si viene a conoscenza di un’altra mossa della difesa dei tre fratelli imprenditori: è stato il penalista napoletano Francesco Picca a depositare un’istanza alla Procura generale per ottenere la restituzione dei beni, come previsto quasi un mese fa dai giudici della Cassazione.
La matassa
Ma andiamo con ordine, dunque, a partire dalle motivazioni del provvedimento che ratificano il dovere formale di restituire soldi, conti correnti, immobili e quote societarie ai tre imprenditori condannati nel corso di un processo per traffico dei rifiuti. Sesta sezione penale, presidente Emilia Anna Giordano, nel collegio anche Maria Silvia Giorgi, Pietro Silvestri (relatore), Paolo Di Geronomo, Ombretta Di Giovane, si comprendono le ragioni che hanno spinto a revocare il sequestro. A monte di tutti, una questione di decorrenza dei termini. In Appello, la confisca doveva sopraggiungere entro 18 mesi, ma i termini sono stati sforati, pur volendo contare anche il lungo periodo di Covid. Una conclusione che va a favore dei fratelli Giovanni, Cuono e Salvatore Pellini, che in questa vicenda - nel corso di un procedimento diventato definitivo - sono stati condannati per aver trafficato rifiuti in modo illegale, al punto tale da inquinare pezzi di area metropolitana.
E la sostanza impone di chiudere il caso, di annullare la confisca, perché sopraggiunta in ritardo. Oggi è noto il percorso argomentativo dei giudici della Cassazione. E c’è un punto in cui i magistrati capitolini sembrano suggerire un possibile sequestro bis. Scrivono in Cassazione: «Resta da chiarire se sia ammissibile una nuova proposta relativa ai medesimi beni, con possibilità di adottare un nuovo decreto di sequestro, nell’ambito di un nuovo e diverso procedimento». Un probabile assist, che viene calata nello stesso periodo in cui Procura e Procura generale sono al lavoro per studiare una strada per bloccare il dissequestro. In questo scenario, si muove la difesa dei Pellini con una diffida: il provvedimento della Cassazione è definitivo ed esecutivo, quei beni vanno dissequestrati, con tanto di interessi.