L'Italia delle 868 opere incompiute. E sul gas l'Algeria ci ha fatto causa

L'Italia delle 868 opere incompiute. E sul gas l'Algeria ci ha fatto causa
di Francesco Pacifico
Giovedì 14 Dicembre 2017, 09:51 - Ultimo agg. 15:54
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L'esplosione avvenuta nel tratto austriaco del gasdotto proveniente dalla Russia, con annessa interruzione del trasporto di gas verso l'Italia, ha dimostrato quanto sia fragile la dotazione infrastrutturale del Belpaese sul versante energetico. Sulle 868 totali, soltanto al Sud ci sono oltre cinquecento opere incompiute (il record, nazionale, va alla Sicilia con 215) che hanno portato ad accumulare perdite per la comunità vicine ai 2,5 miliardi di euro. E moltissime sono proprio in campo energetico. Se sono in molti a dubitare che la Trans Adriatic Pipeline arrivi a Melendugno nel 2020 come previsto (le proteste locali e le minacce di nuovi ricorsi fanno pensare il contrario), ancora più incertezze ci sono sul futuro del Galsi. Questa pipeline lunga 830 chilometri dovrebbe portare il gas algerino in Italia, passando per la Sardegna. Soltanto quest'anno, e a dieci dal lancio del progetto, il Mise ha inserito la metanizzazione dell'isola tra i progetti a rilevanza nazionale. Ritardi che hanno spinto Algeri nel 2015 a chiedere i danni al governo di Roma.

Sempre su questo fronte si sono perse le tracce anche del sogno di trasformare l'Italia nel hub del gas liquido dell'Europa. Lo scorso anno l'Enel ha rinunciato al rigassificatore che doveva costruire a Porto Empedocle, in Sicilia, dopo che il governo aveva deciso di non inserirlo tra le proprie. A memoria di quello che non è stato, c'è soltanto una piattaforma di ghiaia che l'ex monopolista elettrico vorrebbe vendere assieme all'autorizzazione dell'opera.

Lunga anche la lista delle incompiute nella gestione del ciclo dei rifiuti. Legambiente ha denunciato che soltanto in Campania sono bloccati otto impianti per il trattamento dei rifiuti organici, che potrebbero trasformare oltre mezzo milione di umido. Il tutto nonostante si siano stati stanziati 80 milioni per partire con i lavori. In Sicilia gli impianti di compostaggio di Ragusa, pronti nel 2013, sono stati in funzione soltanto per venti giorni. Poi hanno chiuso per mancanza di personale. A Vittoria è successo qualcosa di simile nel sito locale: fermo perché manca un pezzo fondamentale come la cabina elettrica.
 
Sul versante delle bonifiche i casi più famosi di incompiute riguardano l'ex area Italsider a Bagnoli, qualcosa si è sbloccato soltanto con l'accordo firmato dal governo e dagli enti locali la scorsa estate, e il rilancio dell'area Ilva a Taranto. Soltanto a Napoli sarebbero stati sprecati 600 milioni di euro, mentre nella città pugliese i ritardi della riqualificazione (lo Stato ha ipotizzato una spesa di 1,3 miliardi) s'intrecciano a quelli della cessione agli indiani di Mittal. Sempre a Taranto, e prima della crisi dell'acciaieria, non sono mai decollati gli interventi per il mar Piccolo, gravato anche dai veleni dell'Arsenale Militare e degli ex Cantieri Navali di Fincantieri. Poco più giù, nel leccese, si sono sbloccati soltanto quest'anno (e dopo un decennio di liti tra i comuni dell'area) i lavori per il depuratore di Porto Cesareo. Allarme anche in Basilicata, dove non è mai partita davvero la bonifica nelle aree di Tito e Val Basento. Nel 2012 il Cipe aveva stanziato oltre 23 milioni, l'anno dopo è partito la cabina di regia, ma i 3.400 ettari tra Ferrandina, Pisticci, e Salandra restano ancora pieni di amianto, metalli pesanti, e solventi clorurati o composti aromatici. Alla Maddalena si è persa traccia della riqualificazione dell'Arsenale e dei fondali, che era essere conclusa per il G8 del 2009. Ci sono voluti oltre dieci anni per concludere le operazioni di autorizzazione per ridare nuova vita all'area che ospitava il petrolchimico di Porto Torres.

La siccità dell'ultima estate ha dimostrato quanto il Belpaese abbia bisogno di infrastrutture per la gestione delle acque. L'Anbi, l'associazione nazionale delle bonifiche e delle irrigazioni, ha calcolato che soltanto nel Mezzogiorno sono ventiquattro le grandi incompiute, che hanno portato allo spreco di quasi mezzo miliardo di euro. Tra i casi più eclatanti c'è quello della diga sul Melito, in Calabria, i cui lavori sono partiti all'inizio degli anni Novanta. Ma nonostante l'espropriazione di 112 ettari è stato completato soltanto il 10% dell'opera. Sempre in Calabria la canalizzazione sul Metrano è stata approvata nel 1978. Qui è stata costruita la diga più alta d'Europa con i suoi 104 metri d'altezza, ma è un invaso fantasma perché non state mai realizzate le opere per la canalizzazione e la distribuzione a valle, fondamentali per il trasporto dell'acqua. In Sicilia i lavori per la diga di Pietrarossa sono stati fermati per il ritrovamento di un sito archeologico, in Campania quelli della rete irrigua Alento sono stati bloccati per mancanza di fondi.
 

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